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Pregi e difetti di Squid Game 2

Il fenomeno seriale torna su Netflix con una nuova stagione

Pregi e difetti di Squid Game 2   Il fenomeno seriale torna su Netflix con una nuova stagione

Probabilmente sono bastati pochi minuti a Squid Game per arrivare in cima alle serie tv più viste della piattaforma di Netflix con l’arrivo della seconda stagione. Nel 2021, quando lo show rifiutato per dieci anni da innumerevoli emittenti atterrò per la prima volta sulla finestra streaming, ci mise dodici giorni per decollare e arrivare in Top 10. Da quel momento nulla è stato più lo stesso. Difficile guardare ora a delle tute rosa senza farsi venire il panico. Eppure, pur consapevoli delle bestialità e degli orrori che aspettano i concorrenti dei giochi più letali che si siano mai visti sul piccolo schermo - Takeshi's Castle a parte - un’enorme fetta di pubblico non ha fatto altro che aspettare con fervore il ritorno della serie ideata da Hwang Dong-hyuk sui 456 concorrenti che, per un montepremi da capogiro, non devono fare altro che superare sei sfide con sei giochi in cui cercare di evitare la morte. La curiosità e la presa esercitate da Squid Game sono indubbie fin dal suo arrivo su Netflix. E sebbene in quei dieci anni ciò che si sentì ripetere più spesso il regista e creatore dello show era proprio l’improbabilità di poter credere a dei milionari che si divertono osservando le disgrazie delle persone - ah, non si chiama mondo dei social? - in realtà è proprio in un simile senso di assurdo che la serie trova il suo punto di forza. Sia nella prima, che in questa seconda stagione.

Pur con le prime due puntate ambientante lontane dall’arena di gioco - altro prodotto con persone che si uccidono per allietare un pubblico alto borghese? Hunger Games - il racconto riporta ben presto personaggi e spettatori a giocare a Uno, due, tre, stella e a scoprire le nuove diavolerie con cui fare fuori i concorrenti. Questa è la forza e il punto debole della seconda stagione di Squid Game, come nel caso della prima. Nutrita da un predominante immaginario culturale coreano, per un cinema e una serialità che ha toccato picchi di violenza e perversione affascinanti e terrificanti, la serie Netflix edulcora per un pubblico mainstream un modo di scrivere e pensare l’audiovisivo che caratterizza la produzione del paese di appartenenza. Storie e messinscene la cui violenza tende a sprigionarsi con ferocia oltrepassando lo schermo e trafiggendo lo spettatore, per un cinema e una serialità con cui non tutti riescono a sentirsi (o devono) a proprio agio, cosa che invece Squid Game è riuscita a fare.

Nonostante le indicibili malvagità escogitate per fare fuori quante più persone possibili, tutte per tirare fuori la vena più egoistica e animale dei partecipanti, lo show torna ripetendo dinamiche e legami di potere che sono tanto evidenti, e quindi leggibili proprio per rendere il più semplice possibile la fruizione, quanto intrattenitivi nel descrivere l’ecatombe a cui in ogni puntata ci troviamo di fronte. Così, stavolta, il protagonista Seong Gi-hun (interpretato da Lee Jung-jae) giunge sulla misteriosa isola non solo per giocare, ma per smantellare direttamente dal cuor generale l’organizzazione che ha stravolto la sua vita. Ad aggiungersi come effettivo elemento di riflessione, la possibilità di una votazione per poter lasciare o meno il gioco dopo ogni sfida, mostrando i meccanismi fragili ed egoistici della democrazia che, in un contesto stressante e rinchiuso come in Squid Game, amplia la riflessione iniziata nella prima stagione e invita a una considerazione più approfondita sul tema.

Per il resto, poco altro c’è da aspettarsi da una serie le cui dinamiche e i risvolti si svolgono alla luce del sole, pur in un contesto “chiuso”. Dove chi prova a dare consiglio viene additato come imbroglione, chi pensa solo ai propri interessi porterà il resto delle persone alla rovina e in cui si ripetono in piccoli gruppi i problemi più grandi di condizionamento e bullismo dettati dalle convenzioni e insicurezze sociali. Squid Game 2, dunque, non aggiunge e non toglie niente a un fenomeno che piace dal 2021. Il pubblico può scegliere se restare indifferente o se indignarsi di fronte alla violenza della serie (troppa per chi non apprezza il genere, troppo poca per chi la mette a paragone con altre opere asiatiche), ma una cosa è certa: tutti, una volta finita la seconda stagione, resteranno in attesa della terza.