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Dovremmo bannare i social anche in Europa?

La rivoluzione australiana pervade il sentimento popolare in giro per il mondo

Dovremmo bannare i social anche in Europa? La rivoluzione australiana pervade il sentimento popolare in giro per il mondo

Giovedì 28 novembre il Parlamento australiano ha approvato una legge che vieta l'utilizzo dei social media ai minori di 16 anni. La norma, passata in Senato con 34 voti favorevoli e 19 contrari, era stata presentata a settembre dal governo laburista guidato da Anthony Albanese, il quale, come riporta BBC News, ha dichiarato di voler «restituire l’infanzia ai giovani australiani [e] ridare serenità ai genitori».  L’Australia in questo modo si presta a essere il primo stato al mondo ad aver promulgato una legge così restrittiva nei confronti dei social media. Con l’approvazione nel Parlamento federale infatti non solo viene interdetto ai minori di 16 anni la creazione di account, accesso e quindi utilizzo di piattaforme social, ma si prevedono sanzioni alle aziende fino a 50 milioni di dollari australiani (30 milioni di euro) in caso di inadempienza nell’adottare misure adeguate. Non è ancora chiaro come le nuove regole saranno applicate o fatte rispettare. E sebbene il governo abbia promesso solide protezioni della privacy e divieti per i giganti dei social di utilizzare dati per altri scopi, non si sa ancora esattamente che tipo di dati le persone dovranno consegnare. Sappiamo però che c’è stato il via libera nei confronti di Meta, Snapchat, TikTok e X per proporre i propri sistemi di controllo durante un periodo di prova che terminerà a metà 2025, considerando che la legge non entrerà in vigore prima di 12 mesi. Cosa succederebbe però se anche altri paesi seguissero il modello australiano?

Il Ministro delle comunicazioni australiano Michelle Rowland ha dichiarato che le leggi non si applicheranno ai servizi di messaggistica come Facebook Messenger o WhatsApp, e nemmeno a YouTube in quanto considerato un canale educativo. Secondo Rowland, le piattaforme da limitare dovranno essere TikTok, Facebook, Snapchat, Instagram e X, oltre che a Reddit. «Si tratta di proteggere i giovani, non di punirli o di isolarli», ha dichiarato il Ministro al New York Times e tali affermazioni hanno trovato ampio sostegno da parte del popolo australiano. Un sondaggio da parte di YouGov rivela che il 77% degli australiani è favorevole al divieto, mentre nella politica il social media ban ha messo d’accordo tutti gli 8 presidenti degli stati federali. Le reazioni della controparte sono state immediate e unitarie. Un’improbabile alleanza fra big tech, gruppi per i diritti umani, esperti di social media e accademici ha infatti mosso aspre critiche sostenendo che ci sono troppe domande senza risposta su come la legge sarà applicata, su come sarà protetta la privacy degli utenti e, fondamentalmente, se il divieto proteggerà effettivamente i minori.

@katclark Unpopular opinion but I dont think its going to work, good luck though lol #socialmedia original sound - Kat Clark

Elon Musk è stato uno dei primi a commentare sul suo profilo X - e in pieno suo stile-, sostenendo che la manovra sia un modo per controllare tutti gli australiani. Meta invece, attraverso un portavoce, accusa il governo australiano di non tenere conto della voce dei giovani e che sono «preoccupati per il processo che ha affrettato l’approvazione della legislazione, senza considerare adeguatamente le prove [che] l’industria già fa per garantire esperienze legate all’età [dei] giovani». Anche Snapchat si è detta preoccupata, mentre per un portavoce di TikTok il ban spingerebbe i giovani «negli angoli oscuri del web dove non esistono linee guida, strumenti di sicurezza o protezioni per la comunità». L’amministratore delegato di Digital Industry Group - un ONG che si occupa di difendere l’industria digitale australiana - ha dichiarato che è stato messo il «carro davanti ai buoi», in quanto si è fatta la legge senza sapere le disposizioni e i metodi corretti da utilizzare. Ma non ci sono soltanto gli interessi multimiliardari delle aziende big tech o delle associazioni di settore a opporsi. Amnesty International ha avvertito che il divieto potrebbe escludere dalle reti di sostegno i giovani più vulnerabili come adolescenti LGBTQIA+ e immigrati che in questo modo verrebbero posti ancora più ai margini, sottolineando l’ipocrisia di uno stato in cui è fissata a 10 anni l’età della responsabilità penale: in altre parole in Australia un bambino di 10 anni può essere incriminato, un giovane di 15 anni non può accedere a Instagram.

Inoltre, c’è il problema della libertà di parola e del diritto alla partecipazione. Una lettera rivolta al governo firmata da oltre 140 accademici, pone il problema su quanto un ban di questo tipo sia più un limite che una protezione. Si pensi a figure come Greta Thunberg o Leo Puglisi - giornalista australiano che ha fondato nel 2019 all’età di 11 anni 6 News Channel, un notiziario streaming molto famoso in Australia. Senza l’utilizzo dei social media avrebbero avuto la stessa risonanza? Non c’è bisogno di dire che il caso australiano ha fatto tornare di moda un leitmotiv sul quale gran parte degli stati e governi di tutto il mondo si interrogano - e prendono misure - da anni: che impatto hanno i social media sull’educazione e formazione delle nuove generazioni? E soprattutto, i social devono avere responsabilità giuridica? L’UE ha già una legislazione in materia, il Digital Services Act del 2023, che impone alle aziende tecnologiche il consenso dei genitori per il trattamento dei dati personali dei minori di 16 anni, con la facoltà degli Stati membri di abbassare il limite a 13 anni. Quindi in Europa una legge c’è, ma parrebbe che la scintilla australiana possa presto accendere un incendio. Il ministro dell’istruzione francese, Anne Genetet, ha infatti recentemente confermato di voler seguire i passi di Canberra, auspicando che venga «messo in atto qualcosa di molto simile, [...] in Europa» e dello stesso parere è il Primo Ministro danese Mette Frederiksen, la quale aveva dichiarato a maggio 2024 che il regolamento dell’Unione Europea non è sufficiente in materia. 

@iammisslauriann Life with social media! - Social media ban for under 16’s #school #STEM #STEMfeed #teachers #education #educationnews #educationtiktok #student #socialmedia #technology #ban #technologysecetary #government@BBC News #journorequest Storytelling - Adriel

Anche in Italia sembra tirare il vento del proibizionismo social: se da una parte i minori di 14 anni hanno già bisogno del consenso dei genitori per iscriversi ai social media, dall’altra una recente indagine dell’Associazione Nazionale Di.Te. (Dipendenze Tecnologiche) ha rilevato come il 47% dei giovani italiani tra i 10 e i 24 anni è favorevole a una limitazione totale dello smartphone per i minori di 14 anni e del ban completo dai social ai minori di 16. Negli Stati Uniti, invece, la situazione è diversa. Esiste il Children’s Online Privacy Protection Act (COPPA) che obbliga di avere il consenso dei genitori per i siti web che raccolgono dati di minori di 13 anni, ma è un atto che è stato promulgato nel 1998, quando i social media erano fantascienza e per questo la discussione sull’argomento è molto accesa e combattuta. Il punto sembra essere di non ritorno e forse è questo che spaventa le aziende tech. L’Australia è un precedente troppo importante e se tutti i Paesi del mondo seguissero l’esempio - e possono farlo - si romperebbe quello scudo sulla responsabilità giuridica dietro al quale Meta & company si sono sempre protetti. Ma oltre al danno giuridico c’è anche quello economico. Come sottolinea il Guardian, il problema non risiede tanto nei 5,7 milioni di minori australiani che potrebbero abbandonare i social, quanto le conseguenze di un'adozione globale delle stesse restrizioni. Se altri Paesi seguissero l’esempio australiano, le big tech si troverebbero ad affrontare un futuro più che incerto, con un bacino di centinaia di milioni di utenti in meno.