Vedi tutti

"Giurato Numero 2" è un film vecchio stampo

Clint Eastwood ha più di novant’anni e continua a interrogare il pubblico su cos’è la giustizia

Giurato Numero 2 è un film vecchio stampo Clint Eastwood ha più di novant’anni e continua a interrogare il pubblico su cos’è la giustizia

Ogni film di Clint Eastwood è un evento, soprattutto da quando l’autore di San Francisco ha superato la soglia dei novanta. Nato nel 1930 da papà operaio di una fabbrica di acciaio e mamma impiegata nell’azienda informatica IBM, per il feticcio di Sergio Leone e regista di più di quaranta film - oltre che interprete di più di sessanta - è arrivato il momento di aggiunge alla lista anche Giurato numero 2, proseguendo sull’interrogazione attorno alla morale e alla giustizia che lo hanno accompagnato nelle sue narrazioni. Sempre, come in questo caso, con una spruzzata di conservatorismo e una virata non indifferente verso un cinema definito di destra. In Giurato numero 2 un uomo, James Sythe (Gabriel Basso), viene accusato del femminicidio della propria ragazza, morta lungo le strade della Georgia. L’imputato si dichiara innocente e vuole andare a processo. È in tribunale che Justin Kemp (Nicholas Hoult) dovrà decidere insieme al resto della giuria della colpevolezza o meno del ragazzo. Ma mentre sarà seduto ad ascoltarne la vicenda, la sua memoria rimetterà insieme tanti piccoli tasselli scoprendo come, forse, anche lui potrebbe essere coinvolto nella morte della giovane donna. Parlare o lasciare che un uomo perda la propria libertà? Ancora una volta Eastwood pone più domande di quante risposte voglia lasciare intendere, bendato come sa e deve essere la giustizia col suo occhio esterno - ma, poi, neanche così tanto.

@warnerbrosmovies Court is now in session. Juror #2. Only in Theaters November 1. Get tickets now. #Juror2Movie original sound - Warner Bros. Movies

Nella sua personale rivisitazione de La parola ai giurati, classico e esempio chirurgico di scrittura affidata a Reginald Rose per il film del 1957 diretto da Sidney Lumet, il regista adatta la sceneggiatura di Jonathan Abrams alla sua personale concezione della verità, relativa a proprio modo, ma impossibile da separare da una percezione civica e di coscienza che, comunque, appartiene ad un uomo di un altro secolo. Non che Giurato numero 2 sbagli. C’è un personaggio che potrebbe essere accusato di un crimine tremendo che non ha compiuto, un ex alcolista che ha smesso di bere da quattro anni e dimostra che il cambiamento può esistere, e come davanti alla dea Iustitia siamo tutti uguali. Ma, poi, è davvero così? La legge deve valere uguale per tutti, ma proprio tutti? Da una parte, infatti, c’è un delinquente che ha una relazione dalle dinamiche tossiche e abusanti, con un trascorso nello spaccio di droga e che la sera del 25 ottobre ha lasciato la donna che diceva di amare per una strada buia nel pieno di un temporale. Dall’altra un futuro padre di famiglia che si è riscattato, che ha dimostrato di saper interrompere la propria dipendenza da alcol e che, probabilmente, ha solo commesso uno sbaglio. Nel ragionare con attenzione e trasparenza sulla figura del suo protagonista, un Nicholas Hoult sempre più trasversale in un cinema che lo reclama a gran voce (da aggiungere al 2024 la presenza in The Order e il prossimo Nosferatu), Clint Eastwood usa un linguaggio retorico da vecchio repubblicano dove non esistono attenuanti, ma devono essere considerati solo “i fatti”. Il tema del femminicidio viene trattato con pressappochismo, un (ex) delinquente - che però potrebbe non aver fatto niente - ha un occhio di riguardo da parte del film e gli unici che non mettono mai in dubbio la sua possibile innocenza sono i soli due afroamericani dell’opera - ritornando a La parola ai giurati, era proprio su un ragazzino nero che si pensava colpevole di omicidio su cui dovevano discutere i protagonisti. 

Tutto ha un sentore di protezionismo e non è mai la redenzione che cerca Eastwood, semmai lo scavare nel senso di colpa, che non può comunque rifuggire da conseguenze ferree se c’è di mezzo la correttezza, giuridicamente intesa. Un’identità definita del regista considerato da sempre dalle tendenze ben chiare, che serve non lapidario, ma intransigente Giurato numero 2, aggiungendo alla propria filmografia un’opera che ancora una volta appartiene a un pensiero politico delineato e che non manca di sfidare le posizioni dello spettatore. Un pubblico ammirato dalla limpidezza con cui Clint Eastwood esprime dei concetti basilari - come la bellezza di un sistema giuridico statunitense imperfetto che, però, secondo i personaggi è il migliore possibile - e deciso per la lunghezza del film non a sospendere il proprio giudizio, ma di osservare da ogni angolo diverso e imprevisto il racconto. Come una scena del crimine da dover esaminare da vicino, a fondo, in ogni suo lato, non lasciando nulla al caso e mettendo continuamente in dubbio le proprie sicurezze. Giurato numero 2 è un Eastwood da manuale, un’opera appartenente al Novecento come il suo autore, un lavoro mai senile nei suoi anni che passano. Un esempio di storie che trovano il proprio regista e che tocca poi al pubblico studiare e decodificare. È riflettere sul proprio senso di giustizia e vedere cosa ne salta fuori.