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Il sogno di Roma secondo "Il Gladiatore 2"

Paul Mescal è l’erede di Russel Crowe nel blockbuster dell’anno

Il sogno di Roma secondo Il Gladiatore 2 Paul Mescal è l’erede di Russel Crowe nel blockbuster dell’anno

Sebbene il mito di Roma sia stato raccontato dall’Italia, è l’America che continua a mantenerlo vivo, anche grazie ai sequel. Nel 2019 Matteo Rovere e la sua Groenlandia avevano tentato di realizzare un kolossal moderno, Il Primo Re, che raccontava la storia di Romolo e Remo e che sporcava di terra e fango il futuro fondatore della capitale Alessandro Borghi. Se si chiede però ancora oggi chi sia il vero protagonista della leggenda romana - Francesco Totti in veste da centurione a parte, come si è visto allo scorso Lucca Comics & Game - la risposta è la stessa dopo ventiquattro anni: Il Gladiatore. Vincitore di cinque premi Oscar su dodici nomination, l’opera di Ridley Scott ha portato Russell Crowe a stringere tra le mani la statuetta e a instaurare un legame indissolubile con lo stivale, dalla passione per la Lazio al ruolo del prete in vespa per L’Esorcista del Papa. Nonostante nell’immaginario mondiale la vera icona di Roma, dopo la sua lupa, è un divo originario di Wellington, Nuova Zelanda, per Crowe è arrivata l’ora di deporre la spada e di lasciare spazio alle stelle del domani - e, per chi ricorda il finale de Il Gladiatore, sa anche che non potrebbe fare altrimenti.

Il Gladiatore 2 è perciò un trampolino di (ri)lancio per una serie di volti di cui il grande pubblico è già innamorato, ma che potranno così uscire dalla nicchia dei Millennials che si sono lasciati stracciare il cuore da Normal People o dei fan di D&D che hanno amato (o meno) la quarta stagione di Stranger Things.   Da Paul Mescal a Joseph Quinn, ma senza lasciare indietro un Pedro Pascal che raggiunge la consacrazione cinematografica essendosi affermato finora come attore televisivo tra Il Trono di Spade e The Last of Us, l’opera è di un machismo hollywoodiano alla massima potenza. Un gruppo di interpreti da urlo che dal meno noto (ma bravissimo) Fred Hechinger al veterano Denzel Washington (già in odore di Oscar) fanno la fortuna del film e ne vivono di riflesso tutta la gloria. Perché, che avrà o meno la fortuna del precedente, Il Gladiatore 2 è comunque il blockbuster dell’anno, nonché un ottimo modo per riprendersi per Scott dopo gli ultimi due acciacchi subiti da House of Gucci e Napoleon.

Il ponte che mette in comunicazione primo e secondo film è Lucius (Mescal), figlio di Lucilla e Massimo Decimo Meridio, e se Crowe non può tornare se non come spirito nel sequel, Connie Nielsen riprende il proprio ruolo stavolta accanto al generale Acacius, interpretato da Pascal. Cresciuto lontano da Roma, da tempo stanca della tirannia degli imperatori Geta (Quinn) e Caracalla (Hechinger), e tornato come schiavo, il giovane cercherà di conquistare la propria libertà nell’arena del Colosseo. Tra giochi e intrighi, però, incrocerà la sua strada con Macrino (Washington), che per lui e la capitale ha tutt’altri piani.  Abbandonato un po’ del sentimentalismo del film del 2000, quel tipo di pomposità che molte volte ha glassato i drammoni a cavallo tra gli anni Novanta e il post Duemila, a Il Gladiatore 2 non si risparmia una passeggiata nei campi di grano, pur posizionata con cura e parsimonia nella pellicola, ma sa che il suo punto forte è una muscolarità fatta di azione e rinoceronti. Lo scontro è la chiave della messinscena fin dall’inizio: i romani che invadono i territori della Numidia stabiliscono da subito l’anima guerrafondaia dell’opera, dove le scene di combattimento e scompiglio superano di gran lunga i momenti di scambio umano reciproco. Sono infatti le congiunzioni che mancano. Pur spingendo sull’intrattenimento, e trovando nelle sequenze di lotta e pugnalate alle spalle il vero divertimento per lo spettatore, Il Gladiatore 2 deve aver sofferto di diversi tagli in fase di montaggio, con Ridley Scott memore probabilmente della necessità di rendere abbreviata la sua epopea francese Napoleon, rilasciandone solo su AppleTV+ la durata effettiva di tre ore e quaranta minuti. 

Le relazioni ne Il Gladiatore 2 mutano dunque troppo velocemente, la seconda parte ha svolte, imprevisti e strategie per conquistare il potere inaspettate e frenetiche, ma è proprio accorgendosi che va bene lo stesso, che un figlio e una madre possono riconciliarsi nel giro di un abbraccio e che due fratelli imperatori fuori di testa possono non venire approfonditi per poter convincere che si capisce che il film, a suo modo, ha fatto centro. Almeno il suo, di centro. Ha riportato l’epicità degli scontri nel Colosseo - il quale a un certo punto diventa addirittura una piscina artificiale per riprodurre dal vero una battaglia navale - ha sparso fiotti su fiotti di sangue e ha condotto il pubblico fino ad un monologo finale in cui il tutto si racchiude in: battiti o muori. E, pur non avendo il carisma del film predecessore, ne è un erede degno, con una pletora di nuove star su cui gigioneggia come un direttore d’orchestra Denzel Washington (a tratti eccessivo, teatrale al pari del suo recente Macbeth, comunque un fuoriclasse) e che non si rifugia - non troppo - nei meandri della memoria, nel passato del classico con Russell Crowe, ma lo omaggia con rimandi ad oggetti e accenni di colonna sonora che permettono al film di non privarsi della sua identità, pur non dimenticando le proprie radici. Esattamente come accade andando di padri in figli, il cui sogno di una Roma libera in questo caso viene tramandato secondo forza e onore.