Vedi tutti

L'identità di Donald Trump secondo il cinema e le serie TV

Dalle paure per il futuro di Civil War alle biopic non autorizzate come The Apprentice

L'identità di Donald Trump secondo il cinema e le serie TV Dalle paure per il futuro di Civil War alle biopic non autorizzate come The Apprentice

Inutile a dirsi, l’unico Donald Trump con cui avremmo mai voluto avere a che fare era il personaggio che accoglieva nella Trump Tower un ragazzino perso nei meandri della Grande Mela in Mamma ho perso l’aereo 2: Mi sono smarrito a New York. Un piccolo cameo del 1992 per il magnate edilizio che, proprio nel decennio dei 90s, cominciò ad avere le prime beghe finanziarie. Sarebbe stato bello lasciarlo lì, bonario, il ricordo di un vecchio riccone che si divertiva a comparire su tv e giornali ed era finito per far parte del sequel di uno dei cult pop della storia del cinema. Un seguito lo ha avuto anche la sua corsa alle presidenziali, con tanto di colpo di Stato in suo nome e un'altra vittoria alle presidenziali che ha lasciato il resto del mondo con l’amaro in bocca. Visto che i sequel notoriamente non sono mai al livello degli originali, si rischia che il secondo mandato di Trump, che dopo essere stato eletto nel 2017 fa il bis come 45esimo Presidente degli Stati Uniti, possa essere addirittura peggiore del primo, e lì poco potrebbero inventarsi il cinema o la serialità per cercare di razionalizzare ciò che una popolazione e il resto del circondario dovranno affrontare. Gli USA in particolare avevano già provato a rimarginare una ferita aperta dopo i quattro anni dell’imprenditore passati nello Studio Ovale, mentre nell’ultimo anno, proprio per l’appropinquarsi delle presidenziali 2024, ha cercato di descrivere i più infimi degli scenari per esorcizzare ciò che avrebbe potuto riservare il futuro. Civil War è esattamente questo: l’assolutizzazione dell’America rossa e blu che si scontra senza seguire nemmeno più linee politiche chiare.

In una scena centrale di Civil War, un gruppo di militari sparano contro una casa dentro cui, a propria volta, c’è qualcuno che li tiene sotto tiro. Chi sia il nemico, in quel caso, non è nemmeno certo, come sembrano esserlo diventati sempre meno i motivi che hanno portato alla guerra civile contemporanea del film. La figura del Presidente interpretato da Nick Offerman è inoltre l’immagine stessa di un politico dalle manie di grandiosità, come spesso ne ha dimostrate Donald Trump. L’opera di Alex Garland è la cartolina più estrema ma lucida su come potrebbe andare se ci si lasciasse portare al largo della deriva amministrativa di una realtà espansa e dicotomica come gli Stati Uniti, oltre ad essere un saggio sull’influenza che hanno le immagini nella mente popolare. Tanto che è stato scioccante vedere che la foto più potente del 2024, anno di uscita del film, è quella di Donald Trump con orecchio sanguinante e braccio alzato dopo aver subito un attentato, quasi a testimonianza della tesi portata avanti da Civil War. Se l’opera di Garland fa un passo in avanti, studiando il futuro degli Stati Uniti, nel cinema c'è anche ci si è guardato indietro per capire quali sono stati i primi semi di una politica che penalizza le minoranze e mette a rischio le libertà individuali. Due sono gli esempi lampanti: in BlacKkKlansman(2018)Spike Lee rimette in scena il piano di un dipartimento dell’intelligence in cui un bianco, aiutato da un poliziotto afroamericano, si infiltra dentro a un circolo del Ku Klux Klan all’inizio degli anni Settanta: in The Order(2024), invece, Justin Kurzel riprende la storia di un agente dell’FBI che nel 1983 ha cercato di svelare i criminali dietro a una serie di rapine e furti, riconducibili ad alcuni esponenti di estrema destra i cui dettami del suprematismo bianco sono gli stessi su cui si basano i principi di coloro che hanno assaltato il Campidoglio a Washington D.C. il 6 gennaio 2021 (evento a cui il film si riferisce apertamente in chiusura prima dei titoli di coda).

@leonefilmgroup Dall’Atlantico al Pacifico, gli Stati non sono più Uniti. In un’America divisa fra est e ovest, un gruppo di reporter viaggia tra terre desolate e città distrutte dalla guerra civile per documentare un presente che mai avrebbero immaginato. #CivilWar suono originale - leonefilmgroup

Tra tutte, però, è stata la serialità a segnare uno smacco così evidente sulle ansie e le preoccupazioni che la candidatura e la conseguente vittoria di Trump avrebbero potuto generare nelle persone. Nella prima puntata di American Horror Story: Cult, uscita nel 2017, il personaggio interpretato da Sarah Paulson ha un vero e proprio attacco di panico quando osserva da una televisione la vittoria del tycoon, terrorizzata su come sarebbe stata da quel momento in poi la vita della sua famiglia omogenitoriale - una scena rivenuta fuori sui social dopo la seconda vittoria del candidato. Pensando al piccolo schermo di anni fa, invece, chissà se gli attori de La tata, Willy, il principe di Bel-Air e Sex and the City avrebbero mai immaginato che dai loro set, in cui Trump è passato come cameo, l’uomo sarebbe finito direttamente nelle stanze della Casa Bianca. Ma in fondo è proprio la tv che lo ha accolto in quel decennio dei Novanta in cui doveva trovare la maniera di far riquadrare i suoi grattacapi economici, accettando dopo vari rifiuti un reality show che ha dato poi il titolo al film sui suoi inizi.

The Apprentice di Ali Abbasi, uscito lo scorso ottobre in Italia, snocciola gli insegnamenti che Trump ha ricevuto dal suo mentore, l’avvocato Roy Cohn: attaccare, negare sempre e non ammettere mai la sconfitta. Suonano familiari? Un’opera che decostruisce l’icona restituendo l’uomo, riportandolo a quando era considerato solo un ragazzo e mostrando come le cose sarebbero potute andare diversamente. Cosa aspettarci, dunque, dai quattro anni che ci attendono? Intanto, la campagna elettorale del candidato repubblicano ha già offerto un documentario sul perché Trump avrebbe dovuto rivincere, Vindicating Trump, un lavoro diretto dall'attivista di destra e cospirazionista Dinesh D’Souza insieme a Bruce Schooley - tra i vari endorsement a Kamala Harris, invece, c’è stata la presenza in prima persona della rappresentante democratica in un programma storico come il SNL. Mentre tutto intorno è incerto, resta una speranza: è in questi momenti che le narrazioni tendono a trovare nuovi slanci dirompenti da cui fuoriesce un’intraprendenza dettata dalle crisi. Parentesi che possono risultare buie, ma che un domani potrebbero offrirci racconti cult come Tutti gli uomini del presidente(1976).