Vedi tutti

Don’t Move risponde alla domanda: chi preferiresti incontrare in un bosco?

Un uomo o un orso? Il film al primo posto su Netflix ha le idee chiare

Don’t Move risponde alla domanda: chi preferiresti incontrare in un bosco? Un uomo o un orso? Il film al primo posto su Netflix ha le idee chiare

Nel maggio 2024 una domanda virale circolava sui social, aprendo dibattiti e discussioni: se tu, donna, ti trovassi da sola in mezzo ad un bosco, preferiresti incontrare un uomo o un orso? Già un anno prima gli sceneggiatori T.J. Cimfel e David White avevano dato una loro opinione. E non sono nemmeno donne. La risposta da oggi - ma anche prima, visto che la maggior parte delle intervistate sembrerebbe aver meno paura ad incontrare un simpatico amico di Winnie the Pooh - potrebbe essere direttamente Don’t Move, film preso in mano per la regia da Brian Netto e Adam Schindler e finito ben presto nella classifica dei titoli più visti sulla piattaforma Netflix.  La storia comincia esattamente come l’interrogativo in questione: una donna, Irish interpretata da Kelsey Asbille, si ritrova una mattina presto da sola su un alto precipizio nei pressi di una zona verdeggiante, fatta di rocce da oltrepassare e alberi alti che fanno ombra tutt’intorno. È lì che la protagonista ha perso suo figlio Mateo a causa di una svista ed è sempre lì che sta pensando di porre fine alla propria vita. A fermarla interviene Richard, il Finn Wittrock che alcuni ricorderanno per le ripetute partecipazioni nell’antologia di American Horror Story o, per i più attenti, come il fidanzato di Emma Stone nei suoi cinque minuti di screening nel meraviglioso La La Land di Damien Chazelle. Dopo una breve interazione, Irish fa un passo indietro e i due si dirigono verso le rispettive macchine, ed è in quell’istante che per la donna comincia il vero inferno

@netflixsa

If you need any explanation why a woman will always choose the bear, watch Don’t Move

original sound - Netflix South Africa

Utilizzando un espediente come l’impotenza, iniettando nella protagonista una sostanza che la paralizza per circa un’ora, spettatori e protagonista si ritrovano in balia della follia del personaggio di Richard/Andrew, sperimentando un tipo di immobilità che è la parte più spaventosa dell’intero film. Un vero e proprio survival movie in cui, con gli arti che cominciano a intorpidirsi e la voce che sta scomparendo, Irish deve tentare di fare di tutto per sfuggire al suo aguzzino, che per tipologia e psicologia si scoprirà essere un parente alla lontana del serial killer di Josh Hartnett nel divertissement della scorsa estate, il Trap di M. Night Shyamalan. E in cui è l’istinto che fuoriesce ponendo, nel pieno del thriller/horror, le basi su cui si costruire la narrazione: chi è che può decidere se siamo destinati a vivere o meno? Quando il film comincia vediamo Irish pronta a buttarsi nello stesso punto in cui è caduto suo figlio (altro aspetto che incentiva il ritmo della pellicola: i traumi vengono fuori subito, non c’è bisogno di aspettare per scoprirli). La donna è pronta a mettere fine alla sua esistenza. Allora perché se un uomo la prende, la paralizza e ha il desiderio di ucciderla, è così ferma e ostinata nel voler rimanere in vita? È sull’auto-determinazione che punta Don’t Move, al pari del senso innato che si prova nel doversi mettere al riparo quando si è in situazioni di pericolo. E in cui, vediamo nel film, salvarsi la pelle non è semplicemente un’inclinazione che appartiene agli esseri umani, ma è parte delle scelte che facciamo e che è inaudito far prendere ad altri. Soprattutto se si tratta di un assassino che, nel veder esalare l’ultimo respiro alle sue vittime, sente una connessione divina in cui “Dio era me”. Non c’è infatti maniera più alta e violenta di sentirsi esseri superiori se non quando si ha la possibilità di dare la vita o, come in questo caso, toglierla.

Un’altra verità è che non bisognerebbe mai mettere le parole bosco e Sam Raimi insieme, visto che il risultato non è mai qualcosa di buono. Per i personaggi della finzione, ovviamente. Il regista de La casa, il cui cottage al centro del nulla è diventato un’icona, è produttore di Don’t Move, come lo è stato nel 2023 (da esecutivo) del quinto capitolo in ordine cronologico proprio della sua saga cominciata nel 1981. Anche qui, altre affinità: il finale del film di Netto e Schindler è speculare al prologo iniziale de La casa - Il risveglio del male di Lee Cronin, in cui un lago e un corridoio di legno sull’acqua sono in entrambi il palco del fato riservato ai protagonisti, sebbene da una parte sia in corso una possessione demoniaca, mentre dall’altro il “demone” è solamente un uomo. Con la premessa di Don’t Move, semplificata anche dal killer, dell’essersi trovati “nel posto sbagliato al momento sbagliato”, al film Netflix si assolvono due o tre sbavature in cambio del passatempo tra thriller e orrore dato. Un’opera che potrebbe insegnarci che non è mai il caso di andare per boschi da soli, ma sarebbe ancora meglio se ricordasse ai tanti indignati che non è poi così assurdo per una donna preferire incontrare un orso invece che uno psicopatico, visto che potrebbe voler passare il weekend con te “a farti le trecce”.