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C'è chi paga per fare vacanze da naufraghi

Una delle tante forme di turismo "estremo", molto popolare tra i più ricchi

C'è chi paga per fare vacanze da naufraghi Una delle tante forme di turismo estremo, molto popolare tra i più ricchi

Una forma di turismo ultimamente sempre più richiesta è quella che consiste nel vivere come naufraghi su un’isola desertaper diversi giorni o addirittura qualche settimana. Dopo aver coperto le spese del soggiorno e aver firmato un apposito contratto in cui si assumono tutte le responsabilità del caso, i partecipanti vengono lasciati con un po’ di provviste su una delle tante isole prese in affitto e gestite dalle agenzie che organizzano questo tipo di “vacanze”. Il tipo di esperienza varia molto in base alle richieste dei singoli clienti, ma in genere i partecipanti preferiscono beneficiare di pochissimi comfort, che spesso quindi si limitano alle scorte di cibo fornite e a qualche attrezzatura per pescare o recuperare ad esempio le noci di cocco – cioè la principale fonte di acqua e cibo disponibile in loco. Si tratta comunque di una forma di «naufragio soft», come l’ha definito la rivista di viaggi Afar, perché in ogni momento è possibile richiedere assistenza e provviste aggiuntive, tra cui acqua potabile in bottiglia. Gli operatori, inoltre, assicurano di prendere tutte le misure necessarie per evitare che i loro clienti possano trovarsi in condizioni di reale pericolo di vita. Resta il fatto che, nonostante non si siano mai verificati particolari incidenti, le piccole isole in cui si svolgono queste esperienze sono tra i luoghi più esposti ai fenomeni meteorologici estremi. 

Una delle prime agenzie specializzate nell’organizzazione delle vacanze da naufrago è stata Docastaway, fondata nel 2010, la cui proposta commerciale include spedizioni su isolotti disabitati in Indonesia, ai Caraibi, nelle Filippine o in Africa. Il nome dell’azienda – che negli anni ha venduto esperienze a più di mille persone – deriva dalla fusione dei termini “do” (“fare”) e “castaway” (“naufragio”). Nel 2015, l’ex imprenditore francese Gauthier Toulemonde raccontò in un libro dal titolo Robinson Volontaire il suo soggiorno di oltre un mese su un’isola indonesiana, organizzato proprio da Docastaway. Dopo Docastaway, nel corso degli anni sono entrate in questo settore altre agenzie, attirate dalla crescita del turismo estremo: una di queste è Untold Story Travel, che oltre a viaggi di lusso tradizionali organizza soggiorni su isole deserte e singole prove di sopravvivenza. Alcune aziende offrono anche corsi di preparazione preliminari, mentre c’è chi predilige rendere l’esperienza del naufragio il più verosimile possibile, limitandosi a fornire qualche scorta di cibo e attrezzatura. Un’altra agenzia attiva nel settore è Desert Island Survival, fondata dal vincitore della prima edizione del reality televisivo Alone UK, in cui i concorrenti dovevano cavarsela da soli in luoghi disabitati e inospitali. «Ti scaraventiamo su una splendida isola tropicale» – si legge sul sito dell’azienda – «dove potrai allontanarti dalla tua routine e immergerti nella natura. [...] Scoprirai che quando si torna a vivere come in una tribù di cacciatori-raccoglitori, cosa che abbiamo fatto per il 99,9 per cento della nostra Storia, ci si sente molto bene; anzi, si sta proprio da dio».

Dentro il business dei finti naufragi

Le vacanze da naufrago in genere si rivolgono a una clientela di fascia alta: i prezzi per i soli soggiorni sugli isolotti disabitati possono arrivare a costare fino a 400 dollari a notte, a seconda del luogo e del tipo di formula scelta. Ma la parte più consistente del budget è rappresentata dai viaggi in aereo e via mare per raggiungere le località sperdute dove “naufragare”. In genere i clienti scoprono l’esatta posizione dell’isola solo dopo aver versato il primo acconto, e nel contratto sottoscritto si impegnano a non diffondere video, foto o altre informazioni attraverso cui sia possibile risalire al luogo del finto naufragio, neanche a conclusione del soggiorno – salvo rari casi concordati con l’agenzia stessa. Questo viene fatto per non attirare altre persone sulle isole selezionate, cosa che probabilmente comprometterebbe l’esperienza dei clienti, e mantenere il più possibile inalterato l’ecosistema ambientale delle singole località. La gestione delle isole prese in affitto dalle agenzie di viaggio che si occupano di organizzare i finti naufragi è più complessa di quanto si creda. In alcuni casi la manutenzione necessaria al loro utilizzo richiede anni di lavoro preventivo. In più, una volta scelta l’isola, sono necessari molti passaggi burocratici e lunghe trattative – più o meno formali – con le rispettive autorità locali e nazionali, al fine di poterne usufruire per questo tipo di esperienza. Inoltre, prima di far soggiornare i clienti, spesso è necessario ripulire l’isola dalla grande quantità di rifiuti trasportati dall’oceano verso la coste, così da simulare naufragi come si vedono nei film.