Hai mai provato il "foraging"?
Ora si cucinano le erbe selvatiche
02 Novembre 2024
Contrada Bricconi
Negli ultimi anni il foraging – ossia la raccolta di erbe o piante spontanee da utilizzare in cucina – è diventata un’attività particolarmente popolare, non solo nel campo della ristorazione ma anche tra persone comuni. Il foraging ha origini antichissime e per molto tempo ha rappresentato uno dei fondamenti delle società basate su un’economia di sussistenza, in cui le persone coglievano direttamente con le proprie mani ciò di cui avevano bisogno. Oggi la pratica è diventata di moda: è vista come un modo per stare all’aria aperta, conoscere le piante, i fiori e persino le bacche meno conosciute e infine scoprire quanto siano versatili in cucina le erbe spontanee. Il fenomeno sta venendo alimentato da iniziative ad hoc sempre più in voga, tra corsi con esperti per imparare a individuare le piante edibili e spedizioni vere e proprie di foraging, organizzate soprattutto nei parchi cittadini delle grandi città. Esistono anche app dedicate, come Falling Fruit o Forager's Friend, che mappano gli alberi da frutto commestibili e offrono consigli sulle tecniche di raccolta.
Nel campo della ristorazione, il foraging oggi è diventato una pratica molto diffusa, ma fino a qualche anno fa era portato avanti per lo più da chef e ristoratori particolarmente attenti alla sostenibilità e alla biodiversità del territorio. In Italia realtà come Ferdy Wild, El Molin, St. Hubert o Contrada Bricconi abbracciano da tempo questa filosofia, una corrente culinaria che oggi corrisponde al nome di alta cucina di montagna. L’ambiente in cui sorgono questi ristoranti nel corso delle stagioni arriva ad offrire una varietà particolarmente ampia di erbe, piante, fiori, bacche e molte altre risorse di origine naturale, che i rispettivi chef sfruttano poi nei loro piatti. La difficoltà sta nel conoscere a fondo quel che è adatto al consumo e saperlo valorizzare in una portata con l’obiettivo di esaltare i sapori attraverso elementi che di fatto sono selvatici. Il foraging, dunque, non solo richiede competenze in ambito botanico, ma anche una certa sensibilità e intelligenza gastronomica. Prende spunto da questa visione, ad esempio, uno dei dessert iconici del ristorante Cracco Portofino, guidato da Mattia Pecis: la millefoglie di alghe. «La mattina, ogni tanto, quasi per rilassarmi andavo a raccogliere le alghe», ha detto lo chef per spiegare com’è nato questo dolce – composto da una stratificazione di alghe essiccate e zuccherate, accompagnata da una crema diplomatica. La cosa, inoltre, dimostra quanto il foraging sia un’attività che si può effettuare potenzialmente ovunque – non solo in montagna o nei grandi parchi, ma anche in prossimità di ecosistemi marittimi. Lo mette bene in luce il lavoro della chef Chiara Pavan, che nei suoi piatti gioca molto con le erbe spontanee raccolte in prossimità del suo ristorante nella laguna di Venezia.
Il successo del foraging nell’alta cucina
Uno dei principali promotori del foraging è stato lo chef danese René Redzepi, fondatore del Noma, che ha contribuito a sdoganare il concetto di cucina selvatica. Aperto nel 2003, il ristorante è diventato in breve tempo uno dei punti di riferimento della cucina mondiale, proprio grazie alla scelta di utilizzare ingredienti locali – tipici dell’ecosistema scandinavo – raccolti in loco e rielaborati. Redzepi ha fatto del foraging non solo una pratica culinaria, ma anche un manifesto per una nuova forma di cucina, più etica e sostenibile. Tutto questo ha contribuito a dare slancio e prestigio alla gastronomia nordica, tanto che tuttora resta una delle più importanti al mondo. Ancora oggi, i menu che si alternano al Noma sono basati quasi interamente sugli ingredienti raccolti nel raggio massimo di sessanta miglia dal ristorante, e molti di questi sono raccolti dallo stesso staff. Alcuni membri della cucina del Noma hanno raccontato che, prima di entrare nel team, sono stati accompagnati a fare foraging nei boschi circostanti o in riva al Mar Baltico, assaggiando i prodotti selvatici che sarebbero poi stati inseriti nei piatti in menu. L'approccio ha rappresentato un cambiamento radicale per la cultura culinaria nordeuropea: consentì di riscoprire ingredienti e sapori tipici di quei Paesi, combinandoli poi in portate capaci di farsi ricordare. Fino agli anni Ottanta, infatti, in Scandinavia trovare prodotti freschi era quasi impossibile: si mangiava soprattutto cibo in scatola e molti prodotti stranieri – comuni nel resto d’Europa – venivano considerati esotici. Ora, grazie anche alla diffusione del foraging, è esattamente il contrario.