5 horror d’autore per Halloween
Streghe, thriller e possessioni: ecco con chi (o cosa) passare la festa più paurosa dell’anno
31 Ottobre 2024
Belli i jump scare, ma il cinema horror può essere anche altro. Sono tantissimi gli autori che, nel corso degli anni, si sono approcciati al genere cercando di apportare la loro visione a mondi oscuri creati per disturbare il sonno degli spettatori. Pieni, molte volte, di un fascino innato, di un’energia vitale mescolata a quella mortifera delle storie scelte, conducendo in territori dell’inconscio in cui far tormentare e spaventare le persone. Sempre mantenendo uno smaccato, truculento ed elegante gusto. Sono perciò cinque i titoli degli horror d’autore per Halloween per trascorrere notti insonni alle prese con i peggiori incubi: una cinquina di registi che hanno risvegliato i peggiori istinti, non mancando di analizzarli e confezionarli egregiamente.
Hereditary di Ari Aster (2018)
Uno dei più recenti casi di cinema dell’orrore da elogiare, tra i nomi che hanno portato in auge l’horror d’autore contemporaneo insieme a Robert Eggers, Jordan Peele e David Robert Mitchell. Nel 2018 Ari Aster si affaccia sul panorama internazionale con Hereditary, esordio in cui si butta Toni Colette per una delle sue migliori interpretazioni nel ruolo di una madre che deve affrontare una serie di lutti nella propria famiglia, mentre un’antica tradizione - fatta di sette e demoni da venerare - si consuma proprio dentro la sua casa. Un continuo rimando tra l’abitazione della famiglia Graham e la sua riproduzione in miniatura, che contribuisce a richiamare un eco ancora più sinistro tra spazio autentico e spazio irreale. È il seme del male che andrà ad insinuarsi nei suoi figli e che finirà per distruggere la quiete quotidiana tanto ricercata. Un’opera in cui ad ogni scena si aspetta l’inatteso, spesso tradotto in violenza inaudita e dolorosa ambiguità. Un film che, anche dopo la sua visione, continuerà a terrorizzare. Tutto al suono di un click.
The Love Witch di Anna Biller (2016)
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Nel sottobosco del cinema dell’orrore, c’è un filone dedicato alla figura delle streghe, che abbiano l’aspetto della cattiva di Biancaneve, siano affascinanti come la Monica Bellucci de I fratelli Grimm e l'incantevole strega o rurali come Anya Taylor-Joy in The Witch. Nel 2016 Anna Biller scrive, dirige, monta, sceglie le musiche, le scenografie e i costumi del suo secondo lungometraggio, The Love Witch, storia di una strega innamorata dell’amore che persegue a qualsiasi costo. Il film è l’espressione del cinema indie alla sua massima potenza, appartenente alla periferia del genere e diventato per questo un piccolo gioiellino cult. L’opera fonde insieme teorie femministe, lotte al patriarcato e sortilegi magici dentro un calderone in cui tutto ciò che persegue la protagonista è solo la ricerca di un uomo con cui trascorrere la sua vita. Una persona da amare, compiacere, per cui essere servizievoli mentre, a propria volta, si viene idolatrate. Un racconto dall’estetica perfetta tanto da sembrare appartenere proprio agli anni ’60/’70 (è di fatto girato in 35mm ed è stato stampato ritagliando un negativo originale). Una storia di riti e incantesimi, dove qualche cuore verrà inevitabilmente trafitto.
Cure di Kiyoshi Kurosawa (1997)
@insomniacfiction Cure (1997) Directed by Kiyoshi Kurosawa Probably my last edit on this movie I hope you will enjoy it #cure #cure1997 #kiyoshikurosawa #kojiyakusho #jmovie son original - Insomniac Fiction
Sebbene sia difficile da credere, visto che Kiyoshi Kurosawa è un’ispirazione mondiale per i cineasti dell’horror, per il suo Cure l’autore dice di aver subito le influenze de Il silenzio degli innocenti e Seven. Il risultato, comunque, resta lontano dal cinema americano e nel corso degli anni Cure stesso è diventato uno dei pilastri del genere orrorifico a cui tantissimi registi e sceneggiatori del futuro hanno fatto riferimento. Il film segue una serie di omicidi nella città di Tokyo in cui, ogni volta, vicino alla vittima viene ritrovato il colpevole, il quale ammette di aver compiuto il delitto dopo aver perso il controllo delle proprie azioni. Ad unire ogni morte efferata c’è solo uno sconosciuto che ha avuto brevi interazioni sia con chi ha compiuto il crimine che con chi è stato ucciso. Tra thriller e orrore, Cure è un film che genera un’inquietudine interiore che parte dalla pellicola per arrivare direttamente allo stomaco dello spettatore, in balia di un senso di malessere pervasivo e immobilizzante, unito insieme da terrore e pazzia.
Possession di Andrzej Żuławski (1981)
Con Possession di Andrzej Żuławski si va sul classico. Protagonisti Anna/Helen e Mark, interpretati da Isabelle Adjani e Sam Neill, il film è la degenerazione di un matrimonio che sfocia nella follia. Ambientato nella Berlino del 1980, l’opera è un mix le cui suggestioni vanno da Scene di un matrimonio di Ingmar Bergman fino a una caduta sempre più vorticosa negli inferi, che giungono al surreale e al grottesco. Il racconto di un rapporto arrivato alla fine del proprio percorso, la cui natura diventa, appunto, in-naturale mentre il film si abissa sempre di più nei territori dell’onirico e dell’illusorio. Dai dubbi di un marito, ex spia di ritorno a casa, alla doppia vita della moglie che nasconde un indicibile segreto: Possession è un misterioso triangolo dove l’amore porta alla conoscenza di esseri mostruosi e di cui rimangono immortali alcune sequenze, come la scena nella metropolitana col ballo disperato di Adjani.
Suspiria di Luca Guadagnino (2018)
Suspiria (2018) dir. Luca Guadagnino pic.twitter.com/ag23PZ9kJS
— cinesthetic. (@TheCinesthetic) October 25, 2024
Per alcuni potrebbe essere un oltraggio citare il Suspiria di Luca Guadagnino e non l’originale da cui il cineasta palermitano ha preso, ma la visione del regista di Challengers (e di un altro horror, stavolta romance, come Bones and All) del classico di Dario Argento è esattamente cosa si intende per operazione autoriale. O, anche, per riproposta d’autore. Guadagnino, su sceneggiatura di David Kajganich, non ha mai nascosto che la sua versione della storia di alcune streghe e della loro scuola di danza sarebbe stata una rivisitazione totalmente personale del testo di partenza, e che avrebbe perciò avuto poco a che vedere col titolo originale. Un nome, Suspiria, che ha scelto di applicare per rendere esplicita l’influenza che ha portato alla composizione del suo film con protagonista Dakota Johnson, nonché possibilità per un appassionato di poter ricreare a proprio modo una delle sue pellicole preferite fin da quando era ragazzino, come da lui stesso dichiarato. Il Suspiria del 2018 è un coacervo di Storia (con la S maiuscola) che incontra le dinamiche delle confraternite, di figlie e di madri, tutte streghe a modo loro, che all’occorrenza possono diventare anche fate. Un’opera calma, pur sostenuta da una continua tensione, il cui fervore esplode con la sanguinosa ed esagerata scena finale. E in cui Tilda Swinton interpreta non uno, non due, ma ben tre ruoli.