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Perché è così complicato fare pubblicità all'AI

Persino Google, Meta e Microsoft hanno avuto difficoltà

Perché è così complicato fare pubblicità all'AI Persino Google, Meta e Microsoft hanno avuto difficoltà

Molte aziende tecnologiche, comprese le più grandi, stanno riscontrando problemi a promuovere i loro servizi legati all’intelligenza artificiale, soprattutto quando si tratta di chatbot, finendo per produrre pubblicità considerate nel migliore dei casi poco riuscite e nel peggiore del tutto fuorvianti. Meta, ad esempio, lo scorso giugno ha pubblicato uno spot che fece molto discutere sulla suite di intelligenza artificiale dell’azienda. In una delle scene della pubblicità un ragazzo chiede all’AI di immaginare Little Italy nel 1954, così da far vedere il risultato a suo nonno. La clip è stata molto criticata perché, secondo numerosi utenti, non avrebbe molto senso chiedere a un’AI di generare scatti del celebre quartiere newyorkese negli anni Cinquanta, quando una semplice ricerca su Internet restituirebbe foto reali. Inoltre, secondo i più critici, il risultato visibile nella pubblicità non era migliore di un qualsiasi scatto disponibile online. Ma quello di Meta non è stato un caso isolato. In occasione delle Olimpiadi di Parigi Google ha realizzato una campagna per pubblicizzare Gemini, che è praticamente un equivalente di ChatGPT. Lo spot – diffuso negli Stati Uniti e online – è intitolato “Dear Sydney”: parla di una bambina che sogna di diventare un’atleta professionista, e vuole scrivere una lettera al suo riferimento sportivo, Sydney McLaughlin-Levrone – primatista mondiale nei 400 metri a ostacoli. Per aiutarla, suo padre decide di fare per l’appunto ricorso a Gemini, a cui richiede di generare lo scritto in questione. Nello spot si sente dire che questa è un’occasione speciale, per questo la lettera dev’essere perfetta – dunque si sottintende che merita di essere prodotta da un’AI, e non da un essere umano.

Nel giro di pochi giorni la pubblicità ha attirato molte critiche, soprattutto online, tanto che Google l’ha ritirata. Lo spot è stato definito freddo, proprio perché metteva in secondo piano quelli che invece dovrebbero essere momenti di vicinanza tra genitori e figli, affidandoli invece a una macchina. «È difficile pensare a qualcosa che comunichi meno ispirazione che istruire un’AI per dire a qualcuno quanto sia fonte di ispirazione», ha commentato il magazine statunitense di tecnologia TechCrunch. Ma anche Microsoft, in occasione dei Giochi Olimpici di Parigi, ha promosso il suo chatbot Copilot con uno spot giudicato inappropriato da molti. La pubblicità spiega come il servizio possa aiutare gli sportivi ad allenarsi. In una delle scene, un atleta chiede all’AI di analizzare i dati sulla sua frequenza cardiaca. Gli utenti, però, hanno fatto notare che – almeno finora – i numerosi tentativi da parte delle aziende tecnologiche di creare chatbot in grado di dare assistenza medica non hanno portato a grandi risultati. Questi sistemi sono infatti noti per scivolare in errori imprevedibili, anche detti “allucinazioni”, che potrebbero avere conseguenze non trascurabili per la salute.

Cosa non convince degli spot sull’AI

Forse non è una coincidenza che tre delle aziende tecnologiche più potenti del mondo, con ampie possibilità in termini di marketing, abbiano avuto problemi simili nel fare pubblicità ai propri sistemi di intelligenza artificiale. Innanzitutto gli spot pongono l’attenzione su situazioni che molte persone non vorrebbero delegare alla tecnologia (almeno a livello teorico). Inoltre le pubblicità sono state giudicate poco riuscite perché non mostrano davvero applicazioni dell’intelligenza artificiale che non si conoscevano già. Al tempo stesso, però, gli aspetti su cui queste tecnologie possono fare la differenza sono gli stessi che in genere espongono le aziende alle maggiori critiche. Fateci caso: uno spot su un chatbot capace di sostituire il lavoro di un programmatore informatico – possibilità comunque remota – non godrebbe certamente di un’accoglienza positiva. Lo stesso avviene nel caso di pubblicità sull’utilizzo dei chatbot da parte degli studenti, ad esempio, che rischia di inquadrare queste tecnologie come strumenti che consentono di impegnarsi meno a scuola. E il fatto che il settore tecnologico che ruota attorno all’AI sia alle prese con le conseguenze delle grandi aspettative generate negli ultimi anni, non aiuta. Le applicazioni di questi strumenti, infatti, si stanno rivelando meno entusiasmanti del previsto, e alcuni si chiedono se l’intelligenza artificiale non sia solo una grande bolla. Non a caso gli osservatori più critici sostengono che utilizzare un’AI per risolvere compiti molto semplici, tra cui quelli mostrati negli spot in questione, sarebbe – scrive il Wall Street Journal – come prendere una Lamborghini per andare a consegnare una pizza.