Torna per la sesta edizione l’EDIT Napoli, tra mostre ed espositori
L’intervista esclusiva alla co-fondatrice della fiera del design editoriale e d’autore
10 Ottobre 2024
Questo ottobre, per il sesto anno consecutivo, si terrà EDIT Napoli, la fiera dedicata al design editoriale e d’autore. Come ogni anno, al cuore dell’evento ci saranno le opere di designer indipendenti, autori ed editori di design, creativi e produttori, che presenteranno le loro creazioni in una Napoli ormai riconosciuta come punto di riferimento e di scouting internazionale. La missione di EDIT Napoli continua a dare risalto a un design sostenibile, valorizzando il legame con il territorio e la qualità delle opere, privilegiando l’eccellenza rispetto alla quantità. L’obiettivo è sostenere processi produttivi che uniscono artigianato e design in pezzi riproducibili, con più di 100 espositori italiani e internazionali. Anche quest’anno, EDIT Napoli offre supporto ai giovani espositori under 30 e alle realtà nate da meno di tre anni, che avranno uno spazio espositivo dedicato nel chiostro del Seminario. Qui sarà presente anche una significativa rappresentanza spagnola, grazie al progetto España Diseño Mediterráneo, realizzato in collaborazione con l’Instituto Cervantes di Napoli e il designer Tomás Alía, che ha selezionato cinque giovani talenti per partecipare. Come da tradizione, la location principale dell’evento diventerà un punto di riferimento e un luogo di incontro per la comunità legata alla manifestazione, favorendo scambi, collaborazioni e nuove idee che continuano a emergere anno dopo anno. Domitilla Dardi - co-fondatrice del progetto - ha raccontato del presente, passato e futuro di EDIT Napoli.
Partiamo un po’ dalle origini, com’è nato il progetto EDIT Napoli?
In realtà è partito molto dal nostro incontro, cioè dall’incontro tra me ed Emilia (Emilia Petrucelli, co-fondatrice). Emilia è campana, però da tanti anni vive a Roma e, dopo una formazione in ingegneria e consulenza, ha poi aperto un negozio di design. Da ormai 15 anni, forse anche qualcosa di più, propone un design che è storicamente editoriale. Prima, il sarto ti prendeva le misure e poteva rifare il vestito in tutti i colori e tutte le stoffe possibili. Similmente, il design editoriale crea pezzi unici che possono essere personalizzati in maniera diversa, ma soprattutto, essendo nati da una mano artigianale, i pezzi non saranno mai identici tra loro. Questa dimensione editoriale si trova in un punto d’incontro tra il design industriale e il design d’arte. Quindi, fondendo il suo occhio di buyer e il mio background da storica dell’arte e curatrice, ci siamo dette: perché non creare una fiera dedicata solo a questo?
Nel tempo poi EDIT Napoli è diventato un po’ un incubatore culturale.
Assolutamente, soprattutto ci teniamo a far capire al pubblico che mercato e cultura vanno a braccetto, perché altrimenti nessuno dei due riesce a sopravvivere. Per questa ragione abbiamo creato il programma CULT, dove, nonostante siamo in fiera, è possibile trovare un grande programma di mostre totalmente sganciate dalla finalità di compravendita fieristica. CULT è anche un modo per riuscire a mostrare realtà più grandi che magari in fiera starebbero un po’ strette; grandi progettisti, marchi importanti e ricercatori già avviati possono comunque usufruire di questa occasione. L’altro grande vantaggio è collocare queste mostre in base al progetto proposto, quindi non solo essere un incubatore culturale, ma un vero e proprio reagente positivo. Negli ultimi anni siamo riusciti ad aprire luoghi di Napoli che a volte neanche i napoletani stessi hanno mai varcato.
Nonostante Milano sia considerata la capitale del design, voi avete deciso di creare questo progetto a Napoli. Come mai?
Perché Milano è sicuramente la capitale, però dell’industrial design. Noi trattiamo un design un po’ diverso e abbiamo deciso di investire su un territorio ‘vergine’, ma non vergine a livello culturale. Napoli è il vero melting pot italiano, come aveva individuato Eduardo de Filippo nel suo film: miseria e nobiltà convivono senza soluzione di continuità. In aggiunta, volevamo una città che fosse economicamente sostenibile. Ci teniamo tanto a presentare designer molto giovani in fiera, gli under 30 che sono alle prime armi, e volevamo trovare una città che li accogliesse senza che dovessero fare troppi sacrifici. Poi, durante uno dei primi EDIT, qualcuno chiese a Emilia: ‘Perché Napoli?’ e lei con molto orgoglio rispose: ‘Perché no?’. Non ci sono altre città italiane con la stessa apertura mentale.
Questa sarà la sesta edizione di EDIT Napoli, voi stesse avete detto che è come se si aprisse un nuovo capitolo. Cosa vi hanno lasciato questi ultimi 5 anni?
Innanzitutto, quando ci siamo imbarcate in questa avventura, non ci aspettavamo assolutamente che il mondo potesse cambiare così tanto in cinque anni. Siamo state l’unica fiera del settore sia nel 2020 che nel 2021, ed in entrambi i casi l’Italia ha chiuso una settimana prima della chiusura di EDIT. Questo ci ha insegnato tanto, perché abbiamo imparato cosa vuol dire essere piccoli: in natura, se sei piccolo sei agile, e noi quest’agilità l’abbiamo usata a nostro favore. Non vogliamo diventare grandi, perché crediamo negli eventi molto selezionati, mirati, pensati, curati, progettati. Però sicuramente adesso comincia una stagione di maggiore consapevolezza e siamo effettivamente diventate un punto di riferimento per chi cerca quel tipo di design. Per anni abbiamo detto che a Napoli ci guardavano in maniera confusa, mentre ora ci conoscono e ci riconoscono.
Un’ultima domanda. Abbiamo parlato del presente e del passato. Quali sono i vostri desideri per il futuro di EDIT Napoli?
Per fortuna Napoli è una città talmente propositiva e piena di potenzialità che abbiamo ancora tantissimi luoghi da esplorare, aspettando i progetti giusti. Posso assicurarti che abbiamo una lista di luoghi dove vogliamo arrivare con EDIT. Penso che, da quel punto di vista, Napoli non ci stancherà mai. Per anni uno dei nostri desideri è stato quello di fare la scena al Teatro San Carlo, con cui abbiamo un bellissimo rapporto, ma non trovavamo mai un progetto adatto. Quest’anno, per fortuna, si sono allineate tutta una serie di cose: abbiamo uno dei più grandi architetti del mondo, Kengo Kuma, e una grande azienda che ha creduto in questo progetto, Alcantara, e finalmente si realizza il sogno di creare le scene del Simon Boccanegra al San Carlo. È un grande onore, ma non potevamo farlo senza avere le condizioni giuste, quindi era giusto aspettare. Noi siamo per lo slow design, per la vita lenta. Piano piano, le cose si raggiungono. Ma non bisogna avere fretta, perché altrimenti fai una fiammata e poi ti bruci.