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Cosa ci ha lasciato Il Corvo, trent’anni dopo

Storia del cult anni Novanta che ha trasformato la tragedia in mito

Cosa ci ha lasciato Il Corvo, trent’anni dopo Storia del cult anni Novanta che ha trasformato la tragedia in mito

Si dice che non possa piovere per sempre ma alcuni film hanno il potere di vivere in eterno. Lo dimostra Il Corvo, pellicola del 1994 tratta dall’omonimo fumetto di James O’Barr tradotto in dodici lingue e con milioni di copie vendute, che torna trent’anni dopo con una versione remake interpretata da Bill Skarsgård e FKA Twigs, impossibilitati nel poter sostituire lo statuto iconico del protagonista originale Brandon Lee - che continua a rivivere anche dopo decenni insieme alla tragedia che si porta dietro. Una scomparsa, prematura e drammatica, che accompagna lo spirito sovrannaturale dell’opera diretta da Alex Proyas, la quale a suo modo ha contribuito a rendere ancora più mistica una storia di ritorni e aldilà, in cui l’amore è la forza che muove ogni cosa e che con il primo Il Corvo viene riportata come memoria stessa di Lee. Ventotto anni e una carriera lanciata da quasi dieci, vista anche la via privilegiata solcata dal padre Bruce con cui cercò di differenziarsi proprio con Il Corvo, l’attore rimase coinvolto in un incidente che, come il personaggio di Eric, lo condusse prima del tempo nel mondo dei non più vivi. Volendo dimostrare di non essere solo figlio dell’artista marziale, Brandon venne scelto per l’adattamento di un racconto fatto di violenza e vendetta, di giovinezza strappata e di ricerca di pace. Doloroso pensare che l’interprete, proprio come il suo Eric con l’amata Shelley, si sarebbe dovuto sposare poche settimane dopo con la fidanzata Eliza Hutton, assistente alla produzione sul set a cui venne dedicato il film insieme a Lee. Ulteriore riconferma di come, spesso, cinema e vita - e in questo caso, purtroppo, la sua fine - percorrano rette impreviste e parallele. Impossibili da prevedere, anche per i migliori sceneggiatori di Hollywood. 

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Fu proprio per volere della compagna che la pellicola venne portata a termine completando le riprese, utilizzando stunt e illusioni per dare l’idea che Brandon fosse ancora in mezzo a noi - tra cui anche Chad Stahelski, amico e controfigura del giovane, vent’anni dopo regista della saga di John Wick. L'incidente che tolse la vita a Lee si ripeté in maniera simile nel 2021, sul set del western Rust: a causa di negligenze di produzione, Alec Baldwin sparò con un’arma carica verso la direttrice della fotografia Halyna Hutchins, ferendola a morte. Una svista, un’altra, dopo ventisette anni dalla scomparsa di una delle promesse del grande schermo, rimasto così intatto, immutabile, fisso nel ricordo del suo Eric. Sul set de Il Corvo a essere letale fu la pigrizia di pochi, un gruppo di addetti agli oggetti di scena che, invece di andare a comprare i non-proiettili adeguati per la scena, scelsero di trovare una soluzione alla buona provocando un autentico sparo con tanto di emorragia per l’attore protagonista. Terribile pensare che fu proprio la fidanzata di Lee ad accorgersene per prima: mentre tutti gli altri tornavano in posizione per rigirare la sequenza, Brandon Lee rimase steso a terra, con una macchia di sangue che si allargava sui vestiti, portato d’urgenza al New Hanover Regional Medical Center e morto dopo un’operazione di circa dodici ore.

È sbagliato credere che i retrosceni tragici siano il motivo per cui Il Corvo continua a parlare con il pubblico d’oggi, tanto da non avere bisogno di un remake, diretto in questo caso da Rupert Sanders, scritto da Zach Baylin e William Josef Schneider. Senza voler demonizzare un’industria che cerca ogni tot anni di ri-scrivere le proprie storie, con l’opera del ’94 ci troviamo di fronte all’esempio di un lavoro ancora perfettamente in grado di presentarsi  al pubblico con modernità, più di quanto faccia questa sua nuova versione young adult. Il genere in una certa maniera appartiene anche alla pellicola anni Novanta ma con quest’ultima ha tutt’altra potenza, derivante dal bilanciamento dell’unione dei suoi protagonisti con la sofferenza dovuta alla loro morte, oltre alla seconda possibilità che può darti l’amore – ovvero di tornare dopo la morte per trovare la tranquillità. Lo stile de Il Corvo di Proyas è entrato nell’immaginario comune grazie a qualità uniche come la maschera di Eric, una versione fantasmatica della giovinezza interrotta che perciò diventa volto del terrore, l’impermeabile di pelle e gli stivali pesanti su cui atterra il protagonista ogni volta che volteggia sopra i nemici. Il carattere del film è determinato dalla violenza inaudita permeata nella Detroit del 30 ottobre, alle soglie della giornata di Halloween, oltre che dalla combinazione di una narrazione matura, inquietante e dark che non risparmia sentimentalismi, che rincorre la moda degli anni '90 ma insieme la ridefinisce e rende l’opera un cult. Il Corvo è dunque uno stato d’animo, è qualcosa di bello che viene strappato e di cui cerchiamo di mantenere un brandello. Eric ci prova. Il pubblico ci prova. Risuonando come la musica rock, altra componente portante della pellicola, riverberando come una canzone infinita dentro le casse. È una storia giovane, di un giovane e che parla di come lo resterà per sempre. È la commistione di reale e finzione, fuori e dentro lo schermo. Una storia ingiusta e nefasta, ma che è anche così che si crea un mito.