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Le serie tv in due parti ci hanno stancato?

Disinnescano il binge watching ma rischiano di spezzare la magia

Le serie tv in due parti ci hanno stancato?  Disinnescano il binge watching ma rischiano di spezzare la magia

Le piattaforme lo sanno: per mantenere i propri abbonati o far arrivare nuovi account sarebbero disposti a tutto. E tutto, nell’ultimo tempo, è diventato dividere le stagioni delle serie tv di punta per permettere loro di avere vita più lunga. Una pratica di cui si è sentito - e per cui i fan si sono risentiti - in mesi recenti, con il ritorno per la terza volta di Bridgerton sulla finestra streaming con otto episodi, divisi in quattro episodi a maggio e altri quattro a giugno. Sebbene ognuno debba fare il proprio lavoro e per il reparto «cerchiamo di continuare a fare abbastanza soldi» significa trovare strategie che trattengano più spettatori e per più ore a lungo sulle piattaforme (puntando anche ad una divisione in parte prima e parte seconda che porti la gente a rivedere a ripetizione i primi episodi) ad essere influenzato, spesso in negativo, è proprio il risultato complessivo delle storie. Influendo anche sull’umore del pubblico, pause più o meno lunghe tra un'uscita e l'altra rischiamo di annullare del tutto la magia.

Nel 2022, con la sua punta di diamante Stranger ThingsNetflix ha offerto un assaggio di una pratica che, nel corso degli anni, sarebbe diventata un escamotage più frequente di quanto si sarebbe sperato. Uscita con le puntate dalla uno alla sette nel maggio del 2022, per potersi finalmente addentrare completamente nel Sottosopra con la serie dei fratelli Duffer si è dovuto aspettare fino al 1 luglio. In quel caso la soluzione adottata, ovvero dividere in prima e seconda parte, era condizionata anche dalla durata degli episodi: pur essendo cresciuta gradualmente di minutaggio nel corso delle stagioni, con puntate che nella quarta duravano minimo un’ora, le ultime due della final season richiedevano un tempo di visione dagli 87 ai 142 minuti. Un episodio conclusivo che è praticamente un film - come sembra attenderci anche con Stranger Things 5, al momento in produzione, di cui sono state confermate otto puntate, le cui ultime due si aggireranno tra i 75 e i 120 minuti. Lunghezza di una serie a parte, la cui modalità di fruizione dovrebbe rimanere autonoma e riservata allo spettatore (a meno che non si tratti, ovviamente, di un prodotto a cadenza settimanale), ciò che avvenne con lo show partito nel 2016 e che ha finalmente portato Undici a scontrarsi col cattivo Vecna si è ripetuto da lì in avanti. Arrivati al punto massimo di godimento, al più alto grado di coinvolgimento emotivo, quando la tua mente da fan sfegatato è completamente assorta e presa da ciò che sta scorrendo davanti ai tuoi occhi, ecco che ogni cosa si interrompe stroncando irrimediabilmente la poesia. Dalla camera di controllo Netflix potrebbero pensare: stiamo alimentando ancora di più la curiosità, stiamo generando frenesia. Sbagliato. Il flusso narrativo, che è incredibilmente difficile da creare, si rompe e viene preteso che il pubblico riesca a ristabilirlo più tardi e nel giro di pochi, ultimi episodi. Rendendo inevitabilmente più fredda l’analisi degli spettatori, a fronte di una conclusione per cui è stato detto loro «Aspettate e vedrete, sarà grandiosa», rischiando di fallire nel gioco delle aspettative al rialzo.

Non siamo qui a controbattere sulla qualità o meno del finale di Stranger Things 4, che per altro è piaciuto a molti, ma su come creare una divisione di un unico nucleo sia controproducente in quanto abbassa il livello di engagement che si era instaurato in precedenza. Facendo arrancare una chiusura che deve per forza presentarsi superiore rispetto a quanto era stato mostrato fino a quel momento, e non potendo giovare del contratto di fiducia tra serie e pubblico che si pattuisce a inizio stagione. Anche ai tempi della cable tv esistevano le pause di metà stagione che mettevano in ferie per qualche settimana gli show. Ma le stagioni erano anche composte da oltre venti episodi, perciò c’era spazio per riaccendere la sinergia con gli spettatori. E c’è comunque da dirlo, anche serie le cui puntate vengono sparate una dopo l’altra possono inciampare col gran finale, ma almeno non hai messo la tua vita in stand-by per un intero mese prima di sapere che saresti rimasto deluso. Stranger Things 4 aveva riproposto nella serialità l’effetto Avengers di quasi tre anni prima, con la struggente conclusione di un pezzo di storia del MCU col degnissimo a commovente Endgame, ma su cui tutti concordano non essere superiore allo stupore e alla folgorazione di Infinity War, ovvero la preparazione ad uno dei più clamorosi addii cinematografici. Lo streaming ha quindi insistito nei suoi esperimenti e, tra emergenza COVID-19 nel 2020 e sciopero di sceneggiatori e attori di Hollywood nel 2023, le cose sono andate a rilento, contribuendo alla necessità anche fattuale di dilatare le tempistiche. Anche qui: stando ai risultati, il pubblico sembra aver appoggiato, in termini di visualizzazioni, la divisione in due parti. Ma è ovvio che una serie deve averti fatto proprio un torto per non avere nemmeno la voglia di sapere quale sarà il suo finale; e se è supportata da un fandom, allora è sicuro che ci sarà sempre qualcuno a mantenere fede al proprio credo seriale. 

Per You 4 e Bridgerton 3, la vera fortuna è stata avere un fandom coeso, pronto ad aspettare anni prima della nuova stagione, nonostante siano stati tante le critiche rivolte alla parte due della favola ambientata nell’era della reggenza. Un’intera schiera di fan rimasta senza la bussola della love story si è ritrovata di fronte a una narrazione diversa negli ultimi quattro episodi, più incentrati sulla ricerca di identità e di indipendenza della protagonista Penelope/Lady Whistledown. Almeno con Bridgerton sono riusciti a trovare un cliffhanger, non come Emily in Paris che, anche lei in due parti, conclude le prime cinque puntate con un piccolo segreto nascosto e poco altro. E non si accenna minimamente ancora al fatto che se ne andrà, a un certo punto e per un certo motivo, a Roma; ironico, considerando che è ciò su cui sta spingendo la comunicazione della serie. Che Netflix stia anche cercando di sperimentare la disintegrazione del binge watching come lo abbiamo conosciuto - e a cui lei stessa ci ha iniziato - potrebbe essere un’ulteriore ragione che vede sempre più spezzettate le realtà del suo parterre di serie-stelle. Da notare come alcuni show una volta in cima siano stati consegnati e indirizzati verso il dimenticatoio, vedasi la quarta e ultima stagione di The Umbrella Academy. Che si tornasse, allora, alla semplice cadenza settimanale? Alcuni competitor ci stanno già provando - o lo fanno da sempre, come AppleTV+. E forse è così che hanno fatto riscoprire il gusto della serialità agli spettatori. Suscitando una sana attesa, non frastornando; puntando sulla qualità di storie e personaggi, che è ciò su cui realmente si fondano le nostre seconde, terze, quinte, decime, ventesime visioni.