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Perché gli attivisti stanno occupando le spiagge italiane?

Mare Libero e la lotta alle proroghe delle concessioni balneari

Perché gli attivisti stanno occupando le spiagge italiane? Mare Libero e la lotta alle proroghe delle concessioni balneari
Fotografo
Ciro Pipoli

Ultimamente nelle spiagge italiane vengono organizzati sempre più proteste contro la proroga delle concessioni balneari. Anche sui social network, non è raro imbattersi in video di attivisti che si piazzano tra i lettini e gli ombrelloni degli stabilimenti marittimi con l'obiettivo di rivendicare il diritto a utilizzare liberamente un bene pubblico come le spiagge. Gli attivisti finora non hanno creato reali problemi o grossi disagi, né si sono serviti delle strutture degli stabilimenti – ed è forse per questo che non hanno ancora ricevuto diffide, querele o denunce. Ma la reazione dei balneari in genere è comunque sopra le righe, e spesso finisce per polarizzare il dibattito sulla questione. C’è chi ritiene che quella degli attivisti sia un’occupazione abusiva, e chi invece sostiene che la legge sia di fatto dalla loro parte, e perciò hanno tutto il diritto di piazzarsi liberamente sulle spiagge degli stabilimenti balneari – anche perché le loro concessioni sono scadute a fine 2023.

Come funzionano le concessioni balneari?

In Italia si parla ormai da anni di come i governi di qualsiasi parte politica dovrebbero affrontare la spinosa questione delle concessioni alle strutture balneari. Occupano tratti di costa che sono parte del demanio pubblico, una proprietà dello Stato che non può essere venduta ma solo data in affitto. Le spiagge, dunque, sono pubbliche, e come tali dovrebbero essere assegnate agli stabilimenti attraverso gare aperte e sulla base di criteri trasparenti, dal momento che permettono lo sfruttamento economico di un bene che di fatto appartiene a tutti i cittadini. Tuttavia le concessioni vengono prorogate periodicamente, in maniera quasi sistematica, agli stessi proprietari degli stabilimenti – che spesso vengono tramandati di generazione in generazione. Questo avviene da decenni sulla base di un patto non scritto: le imprese balneari, in cambio del rinnovo pressoché costante delle concessioni, investono a proprie spese nelle spiagge e nei servizi, incentivando così il turismo.

Oggi in media il 40% delle coste sabbiose italiane è occupato da stabilimenti – in Liguria e in Emilia-Romagna si arriva quasi al 70%, mentre in Campania al 67%. Nelle località più note le spiagge libere sono rare; quando sono presenti strutture ricettive, invece, i prezzi di lettini e ombrelloni sono spesso giudicati eccessivamente alti. La situazione è rimasta la stessa anche dopo che nel 2006 la Commissione Europea aveva chiesto formalmente all’Italia di liberalizzare le concessioni. Ma i governi che si sono succeduti negli anni non hanno mai applicato questa direttiva, sostenendo che le sue conseguenze sarebbero state troppo pesanti per il settore e scegliendo così di prorogare la scadenza delle concessioni già esistenti. Secondo questa situazione, gli attivisti che occupano le spiagge private hanno effettivamente il diritto di farlo: diverse sentenze della giustizia civile hanno convenuto che in realtà sono proprio gli stabilimenti balneari a occupare un bene pubblico senza averne diritto, dato che il rinnovo automatico delle concessioni è stato giudicato illegittimo dall'UE. Le norme del diritto comunitario, infatti, prevalgono su quelle nazionali dei Paesi membri – inclusa l'Italia. Lo stesso Consiglio di Stato, l’organo che costituisce l’ultimo grado nella giustizia amministrativa, ha inoltre definito illegittime tutte le proroghe dei governi compresa quella attuale. 

Perché il tema delle concessioni balneari è così divisivo?

@mare.libero Ci avete scritto in tanti dalla #Liguria . Ebbene anche qui, come in tutta Italia, le concessioni sono scadute e le proroghe dei comuni devono essere considerate "come se non esistessero", perché contrarie alle norme dell'Unione Europea. Lo dice il #ConsigliodiStato . Quest'Estate, pianta l'ombrellone dove vuoi. #paraggi #liberiamoilnostromare #mare #marelibero #spiagge #spiaggelibere #direttivabolkestein #governo #balneari #europa #consigliodistato #concessioni #concessionibalneari #demanio #demaniomarittimo Positive Vibes - Soundbeaver

L’associazione a cui appartengono molti degli attivisti che partecipano ai presidi si chiama Mare Libero: nasce nel 2019 a Firenze e oggi è presente in molte città italiane. Di recente l’associazione ha vinto una causa intentata contro il comune di Napoli, che aveva introdotto un sistema di prenotazione per accedere alle spiagge comunali Donn’Anna e delle Monache, sulla costa di Posillipo, diventando così a numero chiuso. I giudici hanno stabilito che l’amministrazione comunale dovrà invece garantire l’accesso a tutti. Negli ultimi mesi, anche grazie all’attenzione mediatica ricevuta a seguito di casi del genere, sempre più persone si sono espresse contro l’ulteriore proroga delle concessioni agli stabilimenti, e Mare Libero ormai riceve spesso segnalazioni di presidi da molte coste italiane. Un altro tema che alimenta il dibattito e le proteste riguarda i canoni d’affitto tendenzialmente bassi che pagano allo Stato molte imprese balneari. Già nel 2019, Flavio Briatore, proprietario del noto stabilimento balneare in Versilia Twiga Beach Club, aveva detto al Corriere della Sera che secondo lui il governo in carica avrebbe dovuto rivedere gli affitti delle concessioni balneari, perché eccessivamente calmierati. Uno dei problemi che spiegano questa inerzia generale a riformare il settore è che, per qualsiasi governo, la riforma sarebbe molto impopolare, anche a causa del ritardo accumulato. Una soluzione ipotizzata e gradita a diversi gestori di stabilimenti balneari sarebbe di proporre nuovi bandi che garantiscano una sorta di diritto di precedenza a coloro che hanno in gestione una concessione, al patto che dimostri di aver pagato regolarmente affitti, tasse ed effettuato investimenti sui servizi proposti.