Vedi tutti

Il poliworking è sempre più in voga

Anche perché consente di avere maggiori sicurezze economiche

Il poliworking è sempre più in voga Anche perché consente di avere maggiori sicurezze economiche

La straordinaria diffusione del lavoro da casa fu una delle principali e più raccontate conseguenze indirette della pandemia. A distanza di diversi anni l’adozione sempre maggiore del remote working da parte delle aziende ha generato nuove opportunità per i lavoratori. Ad esempio, non è raro sentire di dipendenti che operano da remoto – attivi soprattutto nel campo del digitale e della creatività – che affiancano alla propria occupazione principale un altro impiego. Negli Stati Uniti è stato persino coniato un termine per definire questa condizione professionale: “poliworking”. Dal 2019 i volumi di ricerche online relative a tale pratica sono aumentati considerevolmente, e anche se il fenomeno è emerso principalmente nei Paesi anglosassoni – in particolare all’interno delle grandi città – «non è difficile immaginare una situazione simile in Europa», scrive Wired Italia. «Le due economie sono strettamente legate – spiega il magazine – e le novità riguardanti il remote working e l’aumento del costo della vita pongono molte persone nelle stesse condizioni». 

@networthnate Is “polyworking” some new phenomenon or are we just not able to have the financial flexibility we want/need from working a single job anymore? #genzlife #babyboomer #quietquitting #polywork #finlit #financialliteracy #financialfreedom original sound - Nate Hoskin, CFP, AWMA

Sebbene in molti siano tornati a frequentare l’ufficio, il remote working continua a essere ancora molto sfruttato dalle imprese, soprattutto tra quelle più grandi e strutturate. L’ascesa del lavoro da remoto, infatti, in molti casi ha permesso di ripensare l’organizzazione aziendale, rendendola più flessibile e meno ingessata: nei casi più virtuosi, oggi, il singolo dipendente può scegliere come gestire il proprio tempo e lavorare principalmente per obiettivi. Le aziende hanno anche colto l’opportunità per tagliare i costi legati alle sedi fisiche; inoltre, garantire ai lavoratori una certa flessibilità organizzativa può aiutare a limitare certi fenomeni di disaffezione e demotivazione sul lavoro, sempre più frequenti. Potendo calibrare in autonomia task e scadenze, e non subendo il controllo diretto dei superiori, molti professionisti hanno così iniziato a sperimentare il poliworking. Attenzione però: all’interno di questo trend non rientrano solo i lavoratori freelance, che per loro natura sono più portati ad avere vari clienti, ma anche e soprattutto i dipendenti delle aziende. Secondo un sondaggio dello scorso anno della società americana Paychex, specializzata in human resources, su un campione di mille lavoratori statunitensi intervistati il 40 % dichiara di svolgere più occupazioni nello stesso momento – e tra questi il 70 % lavora come dipendente in un’azienda. Dallo studio risulta anche che i professionisti della Gen Z sono quelli più propensi a sperimentare il poliworking. Inoltre, ad appartenere a questa categoria sarebbero più uomini che donne – il 57 % contro il 43.

Perché le persone puntano sul poliworking

Solitamente il settore di appartenenza dei singoli poliworkers rimane a grandi linee lo stesso, perciò svolgere un task per la propria azienda o farne uno per un cliente esterno è tutto sommato simile in termini di sforzi e competenze messe in campo. I benefici, tuttavia, possono essere molti. Le motivazioni che portano le persone a sperimentare il poliworking, non a caso, sono per lo più di natura economica: è infatti un modo per “arrotondare” lo stipendio da dipendente senza lasciare che il secondo lavoro occupi necessariamente più tempo del dovuto. Un’altro dei lati positivi del poliworking è proprio che consente di riempire i tempi-morti tra un progetto e l’altro, molto comuni nel lavoro da remoto. 

Se mal calibrate, sul lungo termine le tempistiche più sfumate tipiche del remote working – dove vita privata e lavorativa spesso si mescolano – possono generare stress e frustrazione in certi lavoratori. Affiancando un’altra mansione alla propria occupazione principale, invece, si ha la possibilità di arrivare a un flusso di lavoro più costante e delimitato, quasi come se si fosse in ufficio. Per coloro che operano in ambito creativo, inoltre, il poliworking può essere anche una valvola di sfogo: permette infatti di seguire più facilmente progetti personali, o potenzialmente più entusiasmanti di quelli che si svolgono di solito – facendo una selezione a monte che non sempre sul luogo di lavoro è permessa. Dall’altro lato, però, è necessario prestare molta attenzione a calibrare il numero di progetti che si sta seguendo – c’è infatti il rischio di accumulare troppe commissioni e che le consegne si accavallino, con conseguenze dirette sul proprio lavoro da dipendente. Di norma chi è assunto da un’azienda privata non ha restrizioni rispetto allo svolgimento di un’altra attività parallela da libero professionista, a patto che non vi siano clausole esplicite e motivate nel contratto di lavoro. Bisogna però fare attenzione al rispetto del patto di non concorrenza, cioè il divieto per il dipendente di svolgere attività in concorrenza al datore di lavoro. I lavoratori del settore pubblico, invece, sono vincolati dall’obbligo di esclusività.