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Perché “Longlegs” è l’horror più virale dell’anno

Senza dubbio, ne discuteremo per tutto l’inverno

Perché “Longlegs” è l’horror più virale dell’anno Senza dubbio, ne discuteremo per tutto l’inverno

L’uscita di Longlegs, quarto film da regista di Osgood Perkins, ha catturato l’attenzione di tutto il web perché si è presentato nel modo migliore in cui un thriller-horror si può presentare: attraverso il passaparola. La prima cosa che tutti hanno saputo del film è che fa terribilmente paura, che Nicolas Cage è irriconoscibile e inquietante e che persino l’attrice principale si è spaventata nel vederlo la prima volta sul set. E in effetti, dopo averlo visto, è davvero incredibile come l’inquietante personaggio del serial killer satanista riesca a dominare l’intero svolgimento della storia con uno screen time davvero esiguo in una maniera non del tutto differente da come succedeva per Hannibal Lecter ne Il Silenzio degli Innocenti, film a cui Longlegs è pesantemente indebitato. La trama, come molti sanno già, ripercorre la caccia a un serial killer negli anni ’90 a opera di un’agente FBI interpretata da Maika Monroe che un po’ come il Will Graham di Red Dragon è dotata di un “intuito” quasi paranormale nel trovare i criminali e per questo appare in grado più degli altri di risolvere il complicatissimo caso di un serial killer che è in grado di massacrare famiglie intere. Ma la storia prende svolte profondamente inquietanti quando la donna realizza di avere una connessione personale con l'assassino. Ora, la percezione del film che si può avere cambia a seconda della generazione a cui si appartiene: se agli spettatori Gen Z il film può essere descritto come un mix di Mindhunter e Hereditary, con quella piega di horror religioso tipica di molto horror indipendente di questi anni; i più navigati spettatori Millennial sentiranno invece moltissimo l’influenza di SevenIl Silenzio degli Innocenti, di cui la storia ricalca molti degli snodi principali oltre che il vibe da Midwestern americano, fatto di sobborghi innevati, uffici rivestiti di legno e in sostanza di quel mondo blue collar che nasconde dietro la superficie un’oscurità che è impossibile descrivere.

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Va comunque chiarito subito che il film non è davvero il più spaventoso e terrorizzante dell’anno: quando un horror viene descritto come "il più spaventoso" raramente lo è. Questo non toglie che sia valido, e su questo non ci piove, ma sarà bene evitare di arrivare alla visione con aspettative irrealistiche ma ricordiamo che, nel mondo horror, spesso i film più paurosi vengono visti una volta e basta se sortiscono l'effetto desiderato. Chiunque non ci creda guardi The Poughkeepsie Tapes o Megan is Missing per capire come l'assoluto terrore si traduca spesso in esperienze di visione sgradevoli per un verso o per l'altro. In generale, l’intera pellicola è percorsa da un senso di profonda angoscia, che percorre la struttura di una trama organizzata come una trappola per topi in cui più la protagonista sembra avventurarsi in un mondo ignoto, più si ritrova in territori familiari. Interessante è invece la maniera in cui il personaggio del serial killer è presentato: più che un genio malefico, Longlegs fa paura per la maniera incoerente in cui parla e ancora di più per il suo vezzo di pronunciare delle frasi criptiche in una specie di cantilena incoerente che in certi momenti, accompagnata dagli strani movimenti delle mani e del volto, sembra davvero trasformarsi in un canto. Il personaggio di Cage, in breve, è la personificazione di quel senso di mistero angosciante che è al cuore di una pellicola i cui temi, però, sono molto più personali. Quando si giunge al finale, infatti, che è un finale molto in linea con le convenzioni dell’horror, ci si rende conto che la storia del film riguarda molto l’idea di trauma generazionale, condito senza dubbio da un certo tipo di “satanic panic” molto vintage e riportato in auge dai film di The Conjuring. Longlegs è, in breve ma anche in maniera inattesa, un film sulle famiglie e sulle cose (spesso orribili) che le tengono insieme. 

Se la sceneggiatura, pur efficace, non suona del tutto originale data la sua natura citazionistica e in fondo molto post-moderna e soprattutto non porta lo spettatore verso nuove dimensioni dell’horror come hanno fatto in questi anni i film di Brandon Cronenberg o Robert Eggers, a brillare nella pellicola di Perkins è il comparto tecnico. Cambi di ratio della pellicola, la gelida color palette autunno-invernale che riecheggia la generale cupezza della storia, il sound design e i giochi di fotografia che nascondono demoni e occhi inquietanti negli angoli bui di quasi ogni scena e in generale una regia dalla mano molto sicura. Un possibile difetto, invece, può essere indicato nel pesantissimo make-up indossato da Nicholas Cage e per due motivi: il primo è che il suo aspetto non è veramente spiegato o motivato nel corso del film anche se sappiamo che la sceneggiatura iniziale ne illustrava le origini in un certo dettaglio; il secondo è che il make-up, nel suo voler apparire volutamente grottesco, finisce per rompere la sospensione dell’incredulità dello spettatore – pur rimanendo del tutto efficace. Quanto alle interpretazioni, però, il livello è altissimo: di certo con questo film Maika Monroe aggiunge una gemma brillante alla sua corona di regina dell’horror indie contemporaneo (tra le sue interpretazioni abbiamo It Follows e il suo sequel, Villains, Watcher, Tau e Significant Other) mentre Cage è al culmine della sua horror renaissance iniziata con Mom and Dad nel 2017 e poi proseguita con film come Mandy, Color Out of Space, Willy’s Wonderland e Arcadian – tutti ruoli la cui teatralità quasi grottesca culmina con il personaggio di questo serial killer completamente psicotico.