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L'età d'oro delle serie TV è davvero finita?

Come la streaming fatigue ha devastato pubblico e piattaforme

L'età d'oro delle serie TV è davvero finita?  Come la streaming fatigue ha devastato pubblico e piattaforme

Ciò che ricorderemo dell'età d'oro delle serie tv, nata sulla spinta propulsiva di prodotti di rottura come I Soprano, è che ha visto ardere gli ultimi fuochi con il sopraggiungere di una produzione massiccia per qualsiasi tipo di schermo, grande o piccolo che fosse. Una saturazione carica al punto da non aver avuto come equivalente un parterre maggiore di qualità da cui attingere, ma una grande abbuffata che ha preferito l’abbondanza sconsiderata alle strategie di mercato, ritrovandosi con gli spettatori certamente pieni di contenuti, a costo però di farli rimane indigesti. Come in un menù in cui troppe opzioni portano a confondere invece che allietare, così il web con le sue piattaforme ha ampliato le opportunità di visione ma diminuito le gemme da scoprire, costringendo il pubblico a operare un lavoro di fino per scovarle, soprattutto per non incappare per forza sul titolo alla moda di turno. Inutile demonizzare lo streaming online, senza cui non avremmo avuto il boom di House of Cards e Orange is the New Black su Netflix, ma sebbene i cult come Stranger Things non siano tardati ad arrivare, e con loro anche progetti di tipo più meramente popolare (non che la serie dei fratelli Duffer non lo sia, ma si distingue comunque da operazioni simil come Tredici o Élite), la deriva che ha investito le piattaforme ha dettato l’andamento di ogni finestra di distribuzione. Ridefinendo, obbligatoriamente, i confini dell’intrattenimento digitale

Lo sciopero degli sceneggiatori e degli attori che nel 2023 ha significato ben 146 giorni di agitazione dentro e oltre le barricate degli studios è stato l’eruzione di una sintomatologia che l’industria dello show business aveva già cominciato a manifestare. Ne sono conseguiti blocchi, rinunce di progetti, disaccordi interni il cui epilogo ha cercato di riequilibrare un settore che era ormai allo sbaraglio. Mentre gli associati alla Writer Guild of America (WGA) possono finalmente mettere mano sui propri diritti residuali e gli interpreti non venir riprodotti senza il loro consenso tramite IA, un intero universo si è ritrovato costretto a fare i conti con se stesso, oltre che con un numero di utenti in continuo calo, mentre i prezzi dei loro pacchetti aumentavano a dismisura. Solo nel mese di aprile 2024, Netflix ha contato una perdita del 6% per i download e del 8% per gli utenti attivi mensili, secondo Sensor Tower, azienda leader nel giro delle app di analytics e data intelligence. In calo anche Disney+ con una perdita del 26% di utenti all’attivo, per un trend che, seppur in continuo cambiamento, sembra improbabile che torni ai fasti degli abbonamenti del periodo della pandemia. Troppo facile, ad oggi, spendersi in discorsi che vedrebbero soltanto la ricerca di qualità come unico baluardo per il ritorno in auge dell’epoca d’oro sopraccitata. Le piattaforme streaming - così come i suoi creatori, gli sceneggiatori e ancor di più i produttori - si sono dovuti sedere a tavolino per cercare di puntare sul realizzabile, sperare che avesse un minimo di appeal e sperare che ottimizzasse i danni. Perché no, non si può campare solo sulle spalle di Bridgerton, o almeno non per sempre.

@bridgertonnetflix

The room has become rather tense, has it not?

original sound - Bridgerton

È proprio dalla serie ambientata nell’era della reggenza che è bene partire per vedere quale stratagemma la serialità online ha rubato al fratello maggiore cinema - ancora una volta, verrebbe da aggiungere. Sull’onda del successo dello show targato Shondaland, per i racconti della scrittrice Julia Quinn è arrivato il momento di espandersi sul piccolo schermo con sequel, prequel, spin-off e qualsiasi altro desiderio venga espresso dalla corte, andando da La regina Carlotta: Una storia di Bridgerton rilasciata lo scorso anno alla papabile, seppur ancora non confermata, storia che vorrebbe al centro Lady Violet, madre dei fratelli e sorelle Bridgerton, negli anni della sua giovinezza. Ampliare i propri universi è una strada su cui lo streaming ha deciso di procedere, non imparando dai duemila prodotti seriali Marvel su Disney+ che, spento l’entusiasmo del primo periodo, hanno contribuito ad alimentare la stanchezza da supereroi largamente diffusa, tanto da toccare anche il cinema (e che non impedisce comunque ad Agatha All Along di arrivare sulla piattaforma a partire da settembre). In effetti, con La regina Carlotta, Netflix ci ha visto lungo, e lo stesso di può dire dell’operazione-gemella Berlino, spin-off della ben più nota La Casa di Carta. Accumulate 348 milioni di ore viste e 53 milioni di visualizzazioni totali, lo show con Pedro Alonso si è assicurato una seconda stagione e il proseguimento di un mondo fatto di soldi e rapine che, potenzialmente, può essere portato avanti all’infinito. Ma siamo sicuri che “infinito” è ciò che vuole lo spettatore? E non chiedetelo a Shonda Rhimes o Ryan Murphy, che tra i loro Grey’s Anatomy e 9-1-1 continuerebbero ad oltranza. 

Peccare di poca originalità, pur proponendo con sequel, prequel e spin-off storie teoricamente “nuove”, non è però solo appannaggio dello streaming, vista la seconda stagione di House of the Dragon che, in questa estate 2024, è sulla bocca di tutti. Ma è anche evidente che un Gen V, spin-off “giovanile” di The Boys, non ha la medesima densità degli intrighi di potere che si bagnano di sangue quando ci sono di mezzo dei draghi. E che riconferma che non tutti i worldbuilding devono per forza essere indagati più di quanto si sia fatto con un’unica storia, quella principale. In una corsa ai ripari in cui il “si salvi chi può” è stato saltato a piè pari optando direttamente per un “terra bruciata” allarmante e sistematico, Netflix in primis ha cancellato un inverosimile numero di sue serie per-nulla-di-punta, sacrificando molti per aggrapparsi al successo dei pochi. Uno dei problemi maggiori, però, rimane: va bene aver diminuito le produzioni, va bene aver messo un freno a qualsiasi tipo di proposta da qualsiasi singolo angolo del globo, ma il pubblico ormai se ne è andato. Non solo chi ha disdetto il proprio abbonamento, bensì anche chi non riesce più a stare dietro a qualsiasi titolo imperdibile, che infatti perdono. Pensare quali fasti avrebbe potuto avere The Gentleman di Guy Ritchie a marzo 2024, se la gente non fosse stata ormai stufa di cominciare l’ennesima serie trita e ritrita, forse banale, che è quasi scontato verrà cancellata dopo la prima stagione, e quindi per quale motivo cominciarla, nemmeno a starci male dopo. - E poi sì, ah, ho ancora la quarta e ultima stagione di Sex Education da recuperare, non vedo l’ora. Come? È uscita lo scorso settembre? Come è possibile, devo essermela persa. - Che l’involuzione delle produzioni seriali possa essere il vero asso ancora non giocato dagli streamer è ciò in cui sperare, perché non c’è nulla di sbagliato nel finire spesso a fare il decimo rewatch di Friends o di Sex and the City sulle piattaforme che ne detengono i diritti, ma ci auguriamo che ci siano sempre mondi e personaggi inediti da raccontare. 

Chissà se in tutto questo Netflix abbia forse trovato una soluzione momentanea, una formula adatta e inaspettata, ideale in un simile frangente di sovrabbondanza. Rilasciate in sequenza a poche settimane di distanza Ripley, Baby Reindeer ed Eric, le miniserie hanno dimostrato che un formato breve, contenuto, con un numero prestabilito di episodi e una storia che si apre e si chiude come si faceva un tempo potrebbe essere l'unica risposta al problema. Casi come Big Littles Lies ci insegnano che anche una miniserie può diventare “long”, ma avere una prima stagione che non sembri una sola, infinita, ininfluente e stiracchiata puntata, che abbia invece un arco narrativo che comincia e finisce in un lasso prestabilito di tempo, è quanto ci sia di più auspicabile. Tutto ciò a meno che, ovviamente, tu non sia Apple TV+: fai serie di ogni genere, la maggior parte meravigliose (Scissione, Pachinko, Ted Lasso, Shrinking e Black Bird, solo per citarne un paio) anche se più o meno non le guarda nessuno. E, se proprio dovessero venire cancellate, come sono arrivate se ne andrebbero senza che nessuno se ne accorga.