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Syndey Sweeney, Immaculate e la critica femminista

Esplorando, tramite la critica del saggio femminista di Jude Doyle, le figura della suora nei film d'orrore

Syndey Sweeney, Immaculate e la critica femminista  Esplorando, tramite la critica del saggio femminista di Jude Doyle, le figura della suora nei film d'orrore

Nel saggio della studiosa Jude Ellison Sady Doyle, Il mostruoso femminile, i capitoli sono suddivisi nelle diverse - e poche - categorie in cui da sempre la società ha racchiuso, nonché voluto, le donne: figlie, mogli e madri, con il supplemento “madri cattive” a definire un ulteriore ruolo negativo e sentenzioso a loro riservato. Nel libro pubblicato nel 2019, diventato da subito testo imprescindibile per gli studi femministi, oltre a lente di ingrandimento su dinamiche e forzature che da sempre hanno dettato la condotta prevista dalle donne nella comunità, Doyle non manca di interpellare creature ed esseri incantati (anche per questo, infatti, mostruosi) che in ogni tempo sono stati abbinati alle donne nel corso della storia. Fate, streghe, angeli o cavaliere dell’apocalisse, anche la più ordinaria racchiudeva in sé un animo magico e sovversivo, soggiogato e tenuto oppresso dall’uomo e/o dallo stato. Sebbene la religione faccia spesso capolino nei capitoli de Il mostruoso femminile, dal cristianesimo fanatico e vaneggiante della signora White, madre di Carrie del film nato dalla penna di Stephen King, alla lunga digressione sull’esorcismo e il ruolo chiave di Regan ne L’esorcista di William Friedkin, non viene menzionato un personaggio sempre più presente nell’ambito dell’intrattenimento - e quindi della mitologia - culturale. La parte della suora che nel cinema, ma anche nella serialità, è stata fonte di nutrimento per discorsi femministi, talvolta queer, incarnando in sé un moto eversivo, a volte mettendola addirittura incinta per dare alla luce qualche prescelto Gesù. O il suo “nemico”. Nel 2024 è il caso di ben due sorelle: Sydney Sweeney in Immaculate - La prescelta e Nell Tiger Free di The Omen - L’origine del presagio. 

Il colpo d’occhio ci dice subito una cosa: che queste suore sono di una bellezza considerata inusuale per la Chiesa, a volte fuori scala a prescindere da qualsiasi altro standard. La beltà delle protagoniste è immediatamente elemento di diversificazione dal resto del gruppo, e solitamente anche le loro compagne nell’obbedienza, la povertà e la castità sono degne compari nella lotteria genetica a cui non tutti hanno la fortuna di vincere: si va dalla spagnola Maria Caballero di The Omen all’italiana Benedetta Porcaroli di Immaculate, quest’ultimo con tanto di prologo con al centro Simona Tabasco, diventata star internazionale oltre a essere nominata al premio Emmy per la seconda stagione di The White Lotus. Chi è attorno a loro se ne accorge (un poliziotto, sapendo dei prossimi voti presi da Sweeney/Cecilia, lo considera uno “spreco”) e l’essere una voce fuori dal coro accentua la probabilità di accedere a una conoscenza superiore, molto spesso malefica invece che beata. Accade in Immaculate, ma anche nello stesso The Omen, tanto da definire le due pellicole “twin films”, quel genere di progetti che, nel giro di poco tempo, vengono distribuiti in parentesi temporali ravvicinate facendo notare dal primo istante la somiglianza che intercorre tra temi e personaggi. Di certo qui dire che i due racconti semplicemente si assomigliano è riduttivo, vista la presenza di caratteristiche pressoché identiche - vengono utilizzate persino le medesime location in Italia e in entrambe le pellicole compare nel cast Dora Romano nel ruolo di madre superiora. Nel loro essere sovrapponibili, Immaculate e The Omen offrono in dono un’analisi sfrontata e femminile della religione, prendendo da una parte una delle star del piccolo e grande schermo mondiale, mentre dall’altra spingendo sul sesto film di un franchise partito nel 1976.

Prodotto dalla stessa Sydney Sweeney, il lungometraggio di Michael Mohan verte attorno alla figura mariana della protagonista Cecilia, da alcuni definita santa, destinata a racchiudere in sé il miracolo della vita senza aver mai consumato alcun rapporto carnale con un uomo - miracolo che, in un’altra storia a sfondo messianico, era ciò che non si era mai visto in Blade Runner 2049, dove anche le macchine potevano diventare madri. Stavolta a portare un figlio in grembo è una giovane ragazza, scelta per la sua devozione e per nessun altro motivo se non che quando era piccola era sopravvissuta ad un incidente che le ha fermato il cuore per sette minuti. Eppure, come solitamente accade in quella tensione tra l’erotico e il celestiale, anche una suora deve rispettare i codici dell’horror e, insieme alla bellezza, accettare il profumo all’aroma di desiderio che  sprigiona. Chiamare a raccolta Sydney Sweeney ne è la prova. Dopo il dramma in piscina della seconda stagione di Euphoria, dove la ricorderemo per sempre nel suo strettissimo costume fucsia, in Immaculate è con addosso una tunica semi-trasparente che la vediamo bagnarsi nel lavatoio con le sue sorelle, impegnate a sciacquarsi e pettinarsi assieme. Un tessuto finissimo, che a contatto con l’acqua si appiccica alle forme e le mette in evidenza, che sia il contorno di un seno col capezzolo che spunta o la pancia che annuncia l’avanzare di una gravidanza. 

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L’ambiguità è continua nelle suore dei film dell’orrore, a meno che non virino sul filone The Nun, e spesso è proprio tra novizie che si scopre un altro piacere all’infuori delle preghiere. Lo mostrava Benedetta con Virginie Efira, la cui suor Carlini oltre a credersi portatrice di salvezza nel film di Paul Verhoeven tratto da Atti impuri - Vita di una monaca lesbica nell'Italia del Rinascimento di Judith C. Brown, si dilettava in palpeggiamenti con la popolana Bartolomea e praticava autoerotismo con una statuetta della Madonna finemente intagliata per diventare dildo. Come Sydney Sweeney, anche Efira è un concentrato di femminilità prorompente che difficilmente non tocca le corde degli spettatori. Ma se per l’attrice francese la scoperta della carne avviene nel contesto di un’opera d’autore drammatica, Immaculate deve confrontarsi con la matrice orrorifica e il fatto che, seppur in maniera trasversale, Sydney/Cecilia deve assumere il ruolo della final girl, pur non avendo peccato in senso stretto come tanto genere horror ci ha insegnato, rimanendo in balia di una gravidanza infusa (più o meno) dallo spirito santo.Contenere il male, in fin dei conti, era esattamente dove andava a parare Doyle col suo saggio, il fatto che sia sempre e comunque da una madre - ecco tornare il paragrafo sulle genitrici “cattive” - il bacino da cui dare la vita al prossimo distruttore, molto più che al Messia. Ed è ciò che avviene in The Omen - L’origine del presagio, dove la giovane Margaret, pronta a prendere i voti, darà alla luce il Damien che impererà come il figlio del male per tutto il resto della saga. Anche lì la sua giovinezza è determinante. E ancor più che in Immaculate la tentazione è indotta dalla Chiesa stessa, che per portare a compimento la propria opera sveste la futura suora della propria pudicizia, portandola tra i locali notturni di Roma, persa tra i fumi dell’alcol e le avance di un bel ragazzo italiano.

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Che poi The Omen sia ben più affascinante di Immaculate, pur appartenendo a un franchise e stabilendosi come prequel di tutti gli altri racconti dagli anni Settanta in poi, è un altro paio di maniche. Ma dove alla presenza di una star di peso come Sweeney, che avevamo appena ammirato al fianco di un altro sex symbol dell’attuale Hollywood, Glen Powell, nell’irriverente rom-com Tutti tranne te, il film di Arkasha Stevenson doveva compensare con un’originalità che, effettivamente, è riuscita a trovare. Un’opera inaspettata e indie piena di idee visive e di quadri espressionisti. Una suora che è anche Medusa in una delle reference del film, dalla forza propulsiva maggiore rispetto al suo doppio, a tratti soporifero, Immaculate; interpretata da un altro splendore quale Nell Tiger Free, volto che già Nicolas Winding Refn aveva illuminato con i propri neon in Too Old to Die Young e che M. Night Shyamalan aveva capito essere perfetto per le inquietudini dell’universo seriale di Servant. Non è comunque un racconto che rende suora Sydney Sweeney a dirci cosa l’attrice sta cercando di raggiungere nella sua carriera. O che la tonaca nera e bianca non lasci svago alla fantasia più sfrenata, dalle facce iconiche, vecchie e giovani, dei paesaggi sacri di Paolo Sorrentino alle scorribande di un gruppo di suore-ninja nella serie Netflix, cancellata dopo la seconda stagione, Warrior Nun. Senz’altro per l’interprete ci saranno sempre più opere da protagonista, mentre l’aspettiamo per la terza stagione di Euphoria e di vederla diretta da Ron Howard in Eden, nel trama-thriller Echo Valley e nel biopic su Christy Martin, dove impersonerà la pugile di successo degli anni Novanta.