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Cosa è stato del Decreto Rave?

I risultati scadenti di un decreto-legge che, forse, non aveva tutta questa urgenza

Cosa è stato del Decreto Rave?  I risultati scadenti di un decreto-legge che, forse, non aveva tutta questa urgenza

Il cosiddetto  “Decreto Rave” è stato introdotto pochi giorni dopo l’insediamento del governo di Giorgia Meloni, tra ottobre e novembre 2022. La norma era stata molto voluta dai membri della maggioranza, promossa come soluzione definitiva a un problema che sembrava richiedere un intervento tempestivo da parte dello Stato. Era un momento in cui il tema dei rave (o meglio, dei “free party”) era stato “riscoperto”, dopo che il governo ne aveva interrotto uno in corso nei pressi di Modena. L’evento, chiamato Witchtek, si teneva da alcuni anni: nel 2022 aveva attirato circa 3mila persone, ma le numerose forze dell’ordine dispiegate per l’occasione lo fecero concludere in anticipo dopo brevi trattative con gli organizzatori. Il rave nel modenese non aveva creato gravi problemi di ordine pubblico o sanitario e non era diverso da altri di dimensioni simili, però era il primo grande free party avvenuto sotto il governo-Meloni. Interrompendolo, la nuova premier dimostrò fin da subito di avere una posizione molto rigida nei confronti dei rave – tradizionalmente per nulla graditi dalla destra. È un tema a cui l’elettorato conservatore è molto sensibile, perché mette insieme questioni come l’ordine pubblico, il decoro urbano, i giovani e le sostanze stupefacenti. I media mainstream, poi, spesso hanno trattato in maniera sensazionalistica questo tipo di eventi, contribuendo a farli diventare un’occasione di propaganda per le forze politiche più conservatrici. «Piacciano o no, i free party sono una delle poche espressioni culturali europee spontanee e trasversali a livello di classe, razza e genere, e fanno ormai parte della coscienza collettiva e della storia dei nostri Paesi», sostiene invece lo scrittore Vanni Santoni, autore del romanzo Muro di casse.

Gli scarsi risultati del “Decreto Rave”


Il governo-Meloni decise di introdurre norme contro i free party in modo molto rapido, così da “risolvere” quello che veniva presentato come un problema urgente. La maggioranza sfruttò per questo lo strumento del decreto-legge, che in teoria dovrebbe essere usato solo in casi straordinari di necessità. Il governo aveva presentato l’iniziativa anche come un deterrente volto a disincentivare l’organizzazione dei free party ma, nonostante il peso politico, la misura ha portato a risultati piuttosto limitati. A seguito di un’interrogazione presentata da alcuni parlamentari dell’opposizione, il ministro della Giustizia ha fornito alcuni dati sull’applicazione della norma sui “raduni pericolosi” a circa diciotto mesi dalla sua introduzione: i procedimenti giudiziari avviati nel 2023 sono stati ventuno, e non c’è stata ancora alcuna condanna definitiva. Sono state rinviate a giudizio meno di dieci persone, su un totale di cinquanta soggetti indagati. Sono numeri piuttosto bassi, che dimostrano quanto finora il “Decreto Rave” sia stato poco incisivo. In aggiunta, lo scorso ottobre il sito di informazione e fact checking Pagella Politica ha individuato almeno dieci free party organizzati nel corso dell’anno, la prova di come, anche come deterrente, il decreto non sembra aver influenzato lo svolgimento dei rave in Italia. La stesura iniziale della norma era stata molto criticata, sia da parte dell’opposizione che da diversi costituzionalisti, perché considerata potenzialmente applicabile anche alle manifestazioni, agli scioperi o alle occupazioni studentesche. Per questo motivo il testo fu riformulato: nella sua versione attuale il reato punisce con la reclusione da tre a sei anni, e una multa da mille a 10mila euro, a chi organizza senza autorizzazione un «raduno musicale o avente altro scopo di intrattenimento» da cui potrebbe derivare «un concreto pericolo per la salute pubblica».