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Come "La Haine" ha raccontato la nascita dello streetwear

Carhartt, Fila e la storia di un uomo che cade da un palazzo di cinquanta piani

Come La Haine ha raccontato la nascita dello streetwear Carhartt, Fila e la storia di un uomo che cade da un palazzo di cinquanta piani

Tutti coloro che sono stati adolescenti negli anni ‘90 hanno in comune il vivido ricordo dei primi secondi de L’Odio. «Questa è la storia di un uomo che cade da un palazzo di cinquanta piani. Lungo tutta la sua caduta, si ripete per rassicurarsi: "Fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene." Il problema non è la caduta, ma l'atterraggio» pronuncia la voce narrante di Hubert nel film cult in cui Mathieu Kassovitz ha definito l’immaginario di un’intera generazione battezzando la narrativa delle periferie come le conosciamo oggi. Le banlieue parigine cresciute sognando l'America, il racconto delle violenze delle forze dell’ordine e le influenze contrastanti dei ragazzi di seconda generazione: a quasi vent’anni di distanza L’Odio continua a raccontare la periferia con un’attualità e una vividezza disarmante. Premiato a Cannes nel 1995, il lungometraggio rivive oggi nelle sale italiane, rimasterizzato in 4K, grazie a una collaborazione tra Minerva Pictures e Rarovideo Channel, con il sostegno di Cat People. In Francia, il film subisce invece una trasformazione, adattato dallo stesso Mathieu Kassovitz in commedia musicale. Questa nuova versione, chiamata "La Haine – Fino a qui nulla è cambiato", offre uno scorcio inedito del disagio giovanile delle periferie, sottolineando tuttavia come esse restino intrappolate in un ciclo senza fine di violenza e trascuratezza. La notizia delle morte di Naël M., un giovane di 17 anni ucciso dalla polizia durante un controllo a Nanterre, è comparsa sui giornali poco dopo l'annuncio dell'adattamento. "La Haine" continua ad essere un faro, illuminando realtà spesso ignorate e ora più che mai stimola una riflessione profonda sulla nostra società. Ma un altro aspetto del film continua ad essere estremamente attuale nonostante lo scorrere del tempo: la moda.

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Al culmine narrativo del film, troviamo Vinz, Saïd e Hubert su un balcone con una vista mozzafiato su Parigi: Vinz indossa una giacca da aviatore MA-1, Saïd opta per un bomber in pelle sopra la sua tuta da ginnastica, mentre Hubert indossa pantaloni militari e una giacca in shearling, completati da un berretto Carhartt. L’abbigliamento è parte integrante della loro caratterizzazione: Vinz – represso, emotivamente impotente – è avvolto dalla sua tuta Nike come se fosse un guscio protettivo; Hubert, invece, indossa abiti Carhartt e Everlast indicativi della sua rabbia e ferocia. Tracksuit firmate Everlast, Sergio Tacchini e Fila si accostano a capi caratteristici del workwear americano come Carhartt e Dickies, mentre giacche in shearling e vecchi cappotti, probabilmente passati da padri e nonni spezzando la coerenza degli ensemble. Mondi distinti tra loro coesistono in look che non solo hanno rappresentato fedelmente le mise dei ragazzi di strada, ma hanno anche ispirato i designer nel definire il menswear contemporaneo. Le tute messe sotto i cappotti, quasi una sorta di uniforme, sono una vera e propria anticipazione del concetto anti-luxury. Lo styling volutamente disfatto, casuale, sarebbe stato al centro della rivoluzione streetswear dieci anni dopo, sotto la spinta di Gosha Rubchinskiy e Demna Gvasalia. Adam Wrey su ssense ricorda invece la giacca targata Notre Dame University indossata da un poliziotto nel film, perfettamente rappresentativa della fascinazione che la cultura collegiale americana avrebbe esercitato su un’intera generazione. Notre Dame, un'università cattolica americana fondata da un sacerdote francese nel XIX secolo, ha prodotto capi d’abbigliamento che sarebbero successivamente rimbalzati in Europa come simbolo giovanile dell'America. Nel 2002, Raf Simons avrebbe presentato la collezione "Virginia Creeper", cristallizzando il trend nel mainstream con la felpa 'Nebraska', ispirata all’immaginario collegiale.

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I personaggi del film, con le loro tute, i beanie e scarpe da ginnastica, incarnano uno stile che si è solidificato come un pilastro dello streetwear moderno. L’estetica, inizialmente adottata per necessità e comfort in un contesto urbano difficile, è diventata un'espressione di resilienza e identità. Lo stile vestimentario del film, molto più di una semplice tendenza, è diventato un mezzo di espressione per le giovani generazioni che navigano tra tradizione e modernità nei contesti urbani di tutto il mondo. A vent’anni di distanza dalla sua uscita nelle sale, L’Odio torna al cinema per raccontare le disuguaglianzi sociali alle nuove generazioni ma ci ricorda anche che la moda attinge dalla strada, tanto quanto ogni sottocultura nasce dall’emarginazione.