Perché Dragon Ball è diventato un’icona per i Millennial?
Il lascito culturale della serie all’indomani della morte di Akira Toriyama
08 Marzo 2024
Tra i diversi lutti che affliggono la cultura pop capitano spesso grandi e piccoli attori, stilisti, personaggi della televisione, eminenti figure culturali – capita meno che si pianga la morte di un mangaka. Eppure proprio i creatori di manga, che rimangono gli autori della storia anche quando essa diventa un anime, rappresentano oggi dei veri leader culturali, responsabili di aver introdotto nella cultura pop delle epopee e dei personaggi unici. E nessun mangaka ha forse avuto l’impatto di Akira Toriyama, l’uomo dietro Dragon Ball, un franchise la cui monumentalità e il cui impatto possono essere paragonati a quelle de Il Signore degli Anelli o Harry Potter. Specialmente in Italia, le puntate delle diverse serie di Dragon Ball trasmesse a rotazione da Italia 1 all’ora di pranzo dal 1999 fino al 2018 sono diventate un fenomeno di portata multi-generazionale – una saga titanica, martellata da infinite repliche nella memoria di Millennial e Gen Z, che ha creato prodotti e sottoprodotti (pensate al video creato dai fan della lotta di Goku e Freezer sulle note di In the End dei Linkin Park ma anche allo scontro tra Gohan e Junior con La Cura di Battiato) che quasi nessun’altra serie, per popolare che sia, è riuscita a ottenere. E se non ci credete basta andare in un supermercato per vedere, ogni tanto, alcuni uomini di trenta e passa anni pesare le uova di Pasqua Kinder sulla bilancia dell’ortofrutta per capire in quale si nasconda la figurina di Goku. L'importanza della saga di Dragon Ball non sta solo nella nostalgia o nella pura mole di content prodotto nel corso di oltre quarant'anni, ma nel fatto che la serie rappresentò il primo contenuto serializzato e lunghissimo che i ragazzi cresciuti negli anni 2000 sperimentarono e rappresentò anche uno spartiacque per la cultura pop in Italia accendendo un dibattito su cosa fosse rappresentabile in un cartone animato.
@gildan.kun Non sto piangendo, mi è solo entrato un Motorola Razr 2006 nell'occhio #teenagedream #dragonball #goku #supersaiyan #linkinpark #intheend suono originale - Gildan
La storia della trasmissione di Dragon Ball in Italia è stata piuttosto movimentata e interessante. Il primo contatto degli spettatori italiani con la serie avvenne tramite Jtv, una rete televisiva che aveva acquisito i diritti della prima serie. Successivamente, Mediaset, tramite Italia 1, acquisì i diritti della seconda serie, Dragon Ball Z, senza però aver trasmesso la prima serie sulle sue reti. Questo creò un'attesa e una confusione tra i fan, che si aspettavano l'inizio della serie su Italia 1, ma furono delusi quando la rete decise di non trasmetterla, sostituendola con un altro programma. Solo nel 1999 Italia 1 cominciò a trasmettere la prima serie di Dragon Ball, ottenendo un grande successo di pubblico. Successivamente, nel 2000, la stessa rete decise di trasmettere anche Dragon Ball Z, ribattezzandola What's My Destiny Dragon Ball. Questa scelta di programmazione sollevò interrogativi tra gli spettatori, ma nonostante ciò la serie riscosse un notevole successo, diventando il fenomeno televisivo degli anni 2000 che tutti conoscono. Durante la trasmissione su Italia 1, Dragon Ball Z venne doppiato presso lo studio Merak Film a Milano, con la direzione di Maurizio Torresan, noto come Paolo Torrisi, che prestava anche la voce al protagonista, Goku adulto e che ci regalo l'iconica «Onda energetica!». Il doppiaggio subì alcune modifiche sia a livello audio che video, con l'edulcorazione o la modifica di alcuni dialoghi e la rimozione di scene considerate inappropriate per la fascia oraria di trasmissione. Nonostante le censure e le modifiche apportate, Dragon Ball Z conquistò il pubblico italiano, diventando uno dei programmi più amati e seguiti dell'epoca. La serie contribuì anche alla popolarità del franchise nel Paese, portando alla trasmissione dei film e alla ristampa del manga da parte di Star Comics, capitalizzando sul successo televisivo della serie.
i miei genitori hanno sempre vietato a mio fratello quando era piccolo di guadare dragon ball, perché si concentra tanto sulla violenza.
— ele(@elenaciminooo) November 26, 2020
i miei compagni 16 anni dicono “vabbè ma dragon ball insegna anche i valori sull’amicizia e per quanto riguarda la violenza-
Ma Dragon Ball non ebbe l’impatto che ha avuto solo per il successo della serie – anzi proprio quel successo totalizzante, enorme rappresentò il cambio di marcia di mentalità tra la generazione dei Millennial e quella dei loro genitori, facendone l’innesco di un dibattito tra adulti che volevano vietarlo perché diseducativo e privo di contenuti e bambini o ragazzini che invece ne erano del tutto dipendenti. Ora, la narrazione di Toriyama, che il grande artista Takashi Murakami una volta definì «ciclica e senza fine», rimase immortalata nella memoria dei giovani adulti di oggi perché costrinse la mentalità italiana degli anni ’90 e dei primi 2000 a confrontarsi con la libertà di espressione e l’estetizzazione della violenza tipica di anime e manga. Una memoria che forse tutti i ragazzi italiani cresciuti nei primi 2000 hanno è quella del medley di Dragon Ball e dei Linkin Park passato come un tam tam da un cellulare all'altro via MMS o tramite il neonato Bluetooth. A tutti gli effetti fu uno shock culturale (o meglio un reset culturale), al pari dei videogiochi della PlayStation 2 e dei film di Tarantino, che negli stessi anni del fenomeno Dragon Ball in Italia, approdava al cinema con Kill Bill.
Come tanti altri anime prima di lui, anche Dragon Ball venne censurato in più punti – anche se la relativa linearità della sua narrazione fece dell’anime, anche in traduzione, una trasposizione fedelissima dell’originale. Proprio per queste controversie, divenne famoso in Italia il MOIGE, l’organo di “censura” e terrorismo psicologico preferito dalle mamme apprensive di tutta Italia che con il suo numero verde accoglieva le lagnanaze di tutti i genitori preoccupati dai film di Tarantino e Kubrick, da serie come South Park, I Simpson e Will & Grace; programmi televisivi come Smackdown o Bisturi con Platinette e Irene Pivetti ma soprattutto anime giapponesi, visti ai tempi come i principali “corruttori” della gioventù, come Sailor Moon, One Piece, Piccoli problemi di cuore e tanti altri. Ovviamente nulla servì ad arrestare un fenomeno che anni fa si manifestava attraverso album di figurine, action figures, videogiochi, oggetti da collezione e che oggi invece vive soprattutto attraverso innumerevoli meme che testimoniano l’affetto con il quale la serie è ricordata ma soprattutto la sua capacità di diventare una reference comune ai Millennial di tutto il mondo.