Come Suburra ha raccontato Roma e il crimine
Intervista allo sceneggiatore Ezio Abbate e il ritorno di Suburræterna
14 Novembre 2023
Tra le numerose serie che hanno fondato il proprio successo sull’immaginario della criminalità romana ce n’è una tra tutte che ha sancito il nostro modo di fruire i prodotti cinematografici. Era il 2016, l’apice di Netflix, quando Stefano Sollima dava vita al romanzo di Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo in località lontane dai sacri set del cinema romano, nelle periferie, alla ricerca di una verosimiglianza che tra luci e ombre è davvero Roma. Dal Quartiere Africano, meglio noto come Quartiere Trieste, alla palestra di Aureliano a Ostia, passando per la discoteca di Spadino in zona Tuscolana, il romanzo prendeva il nome di Suburra, un titolo che ancora oggi evoca la serie omonima, in grado di cristallizzarsi nell’immaginario mainstream senza cedere al tempo e a tutti i prodotti surrogato che hanno cercato di scalfirla. A 8 anni dal suo debutto, Netflix ne raccoglie il lascito con Suburræterna, uno spin-off che tra vecchi e nuovi volti racconta l’evoluzione dei nuovi equilibri della fittizia mafia romana. Per capire quando sia cambiato il mondo dall’ultima volta che abbiamo visto Suburra e per prepararci al suo ritorno, abbiamo intervistato lo sceneggiatore che ne ha determinato ritmi e stilemi, se non propriamente il successo, sul suo mestiere, sul nostro spasmodico interesse per il crime, sulle difficoltà dello scrivere per il cinema e la televisione in Italia: «mi annoio facilmente. Non mi piace fare due volte la stessa cosa, c’è molto di nuovo in questa Suburra».
Ezio Abbate, sceneggiatore, è tra i creatori delle serie tv Curon, L’ora, Squadra mobile, Le mani dentro la città, e I diavoli, oltre che autore di soggetto e sceneggiatura nel film Banat e Frontiera (vincitore del David di Donatello 2019 per il miglior cortometraggio). Racconta del suo avvicinamento alla scrittura come di un processo graduale, dagli anni di Giurisprudenza, passati ad imbucarsi alle lezione della ragazzi dei tempi iscritta al DAMS. L'inaccessibilità e l’esclusività di questo mestiere è un tema che tornerà più volte durante la conversazione, insieme alla necessità di riuscire a muoversi nei «confini di un sistema industriale» ma soprattutto «lavorare insieme ad altre persone perché scrivere per il cinema o per la televisione è un grandissimo lavoro di squadra. È la tradizione italiana. Tutti i film sul cinema degli anni '50, '60, '70, si sono sempre fatto in gruppi di scrittura da cinque, sei, sette sceneggiatori.» Eppure, se il vivo del mestiere dello sceneggiatore è sicuramente il lavoro di squadra, il segreto per rendere la propria passione un lavoro passa invece per l’iniziativa personale: «Avevo capito che anziché mandare in giro le cose che scrivevo, le idee, i copioni, poteva essere più proficuo mandarli ad altri scrittori più anziani di me, per poi farsi prendere a bottega. È successo così con il trio di sceneggiatori che ha scritto Romanzo Criminale, storicamente la prima serie italiana che ci ha portato nella contemporaneità.» Sullo sciopero degli sceneggiatori della Writer Guild of America (WGA) che si è protratto per gran parte del 2023 e su come le problematiche sindacali hanno influenzato (o meno) gli sceneggiatori italiani dice invece che «se noi dovessimo fare una battaglia sarebbe su rivendicazioni per cui in America ti riderebbero in faccia, cioè basilari.»
La passione specificatamente italiana per il crime è un argomento che merita sicuramente una trattazione separata, oltre che un’indagine sui modi e sui mezzi con cui tale criminalità è stata narrata negli anni, indice di una catarsi o di una passione forse morbosa che dalla musica al cinema è ad oggi l’unica chiave universale per creare prodotti culturali di successo in Italia. «È un trend particolare - conferma Abbate - basta vedere l'editoria: gli unici libri che vendono oggi in Italia sono libri di ispettori, commissari. Sono libri seriali, ma anche di casi. Il True Crime è un caso a parte: i podcast ti danno una libertà, che il cinema non ti consente, basta documentarsi su Wikipedia e avere una bella voce. Gomorra non è un true crime, Suburra non è un romanzo criminale, si tratta di serie che reinventano la realtà restituendola in forme più o meno romanzate di intrattenimento, perché in Italia abbiamo il diritto all'oblio. Una qualunque persona coinvolta in maniera anche minima in una notizia processualmente rilevante ha il diritto di stabilire che la propria storia non debba essere raccontata. E questo chiaramente in Nord America non succede.»
Ma cosa aspettarci dal nuovo Suburra? Come può una serie ormai iconica continuare a parlarci ad 8 anni di distanza? Per Ezio la sfida era questa, riuscire a creare qualcosa di nuova rispetto ad un prodotto cristallizzato nell’immaginario del proprio pubblico: «Ci siamo messi a riformulare un po' i percorsi dei vecchi personaggi, ma soprattutto nel trovarne di nuovi, nel raccontare nuovi mondi criminali che ci sono a Roma e ce ne sono ahimè purtroppo tanti. Abbiamo cercato di creare un ingaggio con il pubblico quasi da videogioco, tanto che alla fine del secondo episodio lo spettatore si troverà davanti a un bivio, dovrà decidere se identificarsi nei vecchi personaggi o fare il tifo per i nuovi. C’è molto di nuovo in questa Suburra, ma è pur sempre Suburra».