I diritti umani che la moda sta trascurando
I retroscena dei grandi marchi in Myanmar svelati da un nuovo report
04 Agosto 2022
Il 1° febbraio 2021, l'esercito del Myanmar ha preso il potere con un colpo di stato, rovesciando il governo democraticamente eletto del paese e arrestando i leader del partito della Lega nazionale per la democrazia. Da allora, i lavoratori tessili, per lo più donne, sono stati in prima linea nel Movimento di disobbedienza civile del paese, rischiando quotidianamente la vita per chiedere la fine della dittatura e per ripristinare la democrazia in Myanmar. In seguito alle violente conseguenze, alcuni, tra cui il Gruppo H&M, hanno persino sospeso le forniture dal polo produttivo del Sud-Est asiatico. Eppure, la sospensione è durata poco: nel giro di pochi mesi H&M ha ricominciato a fare ordini nel Paese, una mossa che, secondo l'azienda, mirava a proteggere i mezzi di sostentamento dei lavoratori del settore abbigliamento.
Da allora, decine di attivisti sindacali sono stati uccisi e centinaia arrestati per essersi esposti a favore della democrazia, mentre le fabbriche hanno collaborato con l'esercito per prendere di mira i lavoratori dell'abbigliamento e per ridurre i diritti dei lavoratori. Secondo un rapporto del Business & Human Rights Resource Centre pubblicato questa settimana sono stati identificati più di 100 casi di violazioni dei diritti umani e del lavoro in fabbriche legate ad aziende di moda, tra cui tra cui Inditex, proprietaria di Zara, H&M Group e Mango. Molestie, intimidazioni, furti di salario e attacchi ai sindacati sono stati tra i casi più frequenti secondo quanto riportato da BOF. Mango ha però dichiarato di non lavorare più in Myanmar, mentre Il gruppo H&M ha preferito non commentare l’accaduto. Il Myanmar detiene solo una piccola quota del mercato globale dell'abbigliamento, ma la situazione è emblematica della sfida crescente che i marchi devono affrontare per bilanciare etica e sicurezza degli approvvigionamenti in un mondo sempre più fratturato e instabile. I sindacati in Myanmar hanno chiesto infatti ai marchi di uscire dal Paese, sostenendo che è impossibile per le grandi aziende di moda continuare a operare nel Paese senza violare i rispettivi codici etici.
Trade unions that formed the Myanmar Labour Alliance, and over 200 civil society organisations are calling for comprehensive economic sanctions. It is time they are listened to, and more is done to support the resistance and stop the Myanmar military's attempted coup. pic.twitter.com/rG67UAijTr
— No Sweat (@No_Sweat) July 26, 2022
Il lavoro minorile, la schiavitù, il furto di salario e la soppressione dei lavoratori sono in aumento nella catena di approvvigionamento della moda da anni e la pandemia, secondo un rapporto pubblicato dalla società di consulenza sui rischi Verisk Maplecroft lo scorso anno, ha esacerbato la tendenza. E la questione sta diventando sempre più complessa e urgente considerando le ricadute della pandemia, i cambiamenti climatici e i venti contrari all'inflazione e all'economia provocati dalla guerra in Ucraina che rendono la situazione ancora più difficile, peggiorando la situazione in altre parti della catena di approvvigionamento della moda. Non che l’inerzia non giochi un ruolo centrale: le autorità di regolamentazione chiedono alle aziende di assumersi una maggiore responsabilità per gli illeciti nella loro catena di fornitura e gli investitori richiedono maggiori informazioni sui potenziali rischi. Se dunque le aziende dovrebbero concentrarsi sul miglioramento della tracciabilità in modo da poter identificare e gestire i problemi e i marchi dovrebbero anche cercare di cambiare attivamente il modo in cui interagiscono con i fornitori, in modo da condividere più equamente i rischi di produzione e i costi di un'attività responsabile. Senza tralasciare, in questo discorso, i movimenti sindacali locali che potrebbero agire difendendo lavoratori dal punto di vista giuridico.