C'è un'intelligenza artificiale che individua le sottoculture giovanili
Le sottoculture non sono morte. Esiste un software che le individua attraverso il linguaggio digitale
28 Aprile 2022
Un tempo c’erano i punk, i mods, i gabbers, il normcore, gli skaters e i paninari, ogni epoca ha avuto le sue sottoculture e il suo momento di ribellione per distinguersi dalla cultura generale della società. Bastava scendere in strada ed era chiaro quali fossero le tendenze, oggi individuare le sottoculture del nostro tempo è più complicato. Non si vedono più gli emo passeggiare per le strade come negli anni 2000 ma ciò non vuol dire che le subculture non siano vive e vegete. Si sono spostate dalla vista, sono cambiate e si sono espanse in un universo di costellazioni più ampie, più articolate e più intrecciate tra loro. Ma anche più difficili da individuare perché il linguaggio attraverso le quali si diramano, quello tecnologico, fa da barriera.
Tim Stock, docente di analisi delle tendenze e design alla Parsons School of Design, è colui dietro a questo pensiero, sostiene che le sottoculture non sono morte e non moriranno mai. Il loro ruolo nella società si adatta allo spirito del tempo mutando forma. Si pensi per esempio ai Proud Boys o al movimento dei Boogaloo, entrambe attive controculture contemporanee seppure si trovano nelle liste nere del terrorismo interno, o al fenomeno giapponese Bosozoku o al nuovo pop-punk. Tim Stock è anche cofondatore della società di consulenza previsionale ScenarioDNA e co-sviluppatore di Culture Mapping, uno strumento che usa l'apprendimento automatico per rilevare e caratterizzare sottoculture invisibili usando l’analisi del linguaggio e prevedendo la direzione dei fenomeni culturali nel tempo. Ha detto:
"La tecnologia permette alle sottoculture di essere ancora più effimere nella loro natura. Possono mantenere la loro ideologia ma passare velocemente da una scenario all’altro o evitarlo. E continuare a prosperare".
Una volta che si inizia a esaminare le subculture online le cose iniziano a confondersi, tra miliardi di dati il software di Culture Mapping raccoglie, analizza e categorizza questi dati in base a degli archetipi di comportamento. Attraverso l’intelligenza artificiale, il sistema utilizza degli algoritmi per dare un significato a hashtag, cronologie di ricerche, sequenze di account e abitudini di comportamento. Le informazioni prodotte sono poi utili ad aziende e brand. Tra i clienti di Culture Mapping compaiono Ikea, Nike, Hilton e Honda.
È paradossale però che secondo Tim Stock uno dei maggiori trend della Gen Z sia proprio quello di rifiutare la tecnologia, seppure ora sia impossibile vivere offline, condizionati da una forte paura del futuro e di non riuscire nemmeno a invecchiare tra crisi climatica, pandemia e guerre. Inoltre, se prima fare parte di una sottocultura significava far parte di un gruppo, incontrarsi in un club, sentirsi cool, oggi il confronto avviene con la telecamera dello smartphone e nei commenti sotto ai post. È tutto più sfocato e i segni semiotici non sono così netti. Non si tratta di movimenti di massa, uniti da un gusto condiviso per la musica, la moda e la proprietà del capitale subculturale, sono piuttosto delle tendenze più veloci che nascono e muoiono alla velocità di click con un pensiero o un’ideologia condivisa. Il viaggio del punk dai primi avvistamenti dei Ramones e di Richard Hell a New York alle prime pagine dei tabloid inglesi è durato un paio d'anni, durante i quali è cambiato e si è sviluppato e mutato. Il viaggio del Seapunk da gag su internet a Rihanna al Saturday Night Live è durato pochi mesi.
Un esempio attuale invece sono le haul girl con i loro video pieni di vestiti o l’Afro Beat, altra sottocultura individuata dal team di Culture Mapping che vede uniti i migliori musicisti della scena jazz londinese contemporanea tra cui Moses Boyd, Tony Allen, Mubia Garcia, Sons of Kemet influenzati dalle loro origini africane. Non è più una questione di cosa si indossa ma di cosa si pensa. Le sottoculture di oggi non si schierano per forza con qualcosa o si oppongono a qualcos’altro, non hanno necessariamente una connotazione politica, hanno solo bisogno di creare un loro spazio spesso difficile da individuare da un occhio adulto, e spesso online.