A Guide to All Creative Directors

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Vedi tutti

Quando si parla di Napoli si ha sempre la sensazione di star parlando di qualcosa di nuovo, incredibilmente esotico, particolarmente lontano e assolutamente attraente. Allo stesso tempo Napoli, nella narrazione mediatica che da sempre l’accompagna, non cambia mai, resta immobile, ancorata a un misto di tradizione e superstizione che l’hanno resa un tempo di difficile comprensione. Eppure, allontanandosi dai luoghi comuni e osservando il movimento di Napoli con il dovuto distacco, la traiettoria cittadina non è poi così diversa da quella di altre città italiane. La moderna esplosione di Napoli non è infatti un'esplosione, ma piuttosto un'evoluzione che la pandemia da Covid ha sì rallentato, ma che non è stata capace di arrestare. A chi vi dice che il 2023 ha rappresentato l’esplosione della città, rispondetegli con i dati del biennio 2018/2019, che parlavano dell’Aeroporto di Capodichino come quello col più alto tasso di crescita in Europa, o del fermento culturale che era a tratti superiore a quello attuale. Certo, il Napoli non aveva ancora vinto lo Scudetto ma ci sarebbe arrivato da lì a breve, grazie a quel lavoro.

È più di un lustro fa che nasce l’idea stessa della Nuova Napoli, da un disco dei Nu Genea che ha l’obiettivo di raccontare una città che si riappropria delle proprie origini per dare vita a qualcosa che sa di passato ma in chiave contemporanea. Una ricetta semplice, all’apparenza: raccontare Napoli a chi non la conosceva; smascherare i segreti, la Napoli Segreta, e sperare che tutti se ne innamorassero. Beh, è successo.

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La nuova Digital Cover di nss magazine parte dalla volontà di raccontare in profondità questo successo, allontanandosi da facili celebrazioni dell’oggi e indagando su chi quell’oggi l’ha costruito, per restare comunque protagonista. E grazie a questi protagonisti diffusi che il pubblico ha imparato ad apprezzare, ed amare, Napoli. Anzi, ad adorarla.

L’editoriale che apre questo progetto ha infatti un nome, quello che accompagna l’intero progetto: J’Adore Napoli. Un omaggio a certi stilemi degli anni 2000, così come a un'idea di Napoletanità estetica e turistica, in un’epoca in cui il turistcore sembra rifarla da padrona.

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Ma J’Adore Napoli è più di un editoriale, è un progetto di rebranding narrativo di una città che si ispira a quanto fatto negli anni ’70 da Milton Glaser nel retro di un taxi, quando gli venne commissionato un logo che potesse rilanciare il turismo di New York. Da quello sketch nacque forse la più grande operazione di branding cittadina di sempre, che ha plasmato l’idea del souvenir newyorkese e della moda stessa associata alla città. J’Adore Napoli è l’omaggio alla città, un insieme di prodotti ricordo che qualsiasi turista o amante della città dovrebbe avere. Un branding definito, che va dalla moda al calcio, passando per il lifestyle e l'estetica. Un progetto di pop-up fisico a cui, da oggi, si accompagna lo store online a cui potrete accedere in anteprima iscrivendovi alla newsletter di nss magazine.

 

People who love Napoli

Photographer and Video Direction Eleonora D’Angelo 
Videomaker Roberto Bontà Politi 
Stylist Francesca Donnarumma 
MUAH Emanuela Farano 
Text Francesco Abazia
Art Director Alessandro Bigi 
Ediatorial Coordiantors Elisa AmbrosettiEdoardo Lasala
Photographer Assistant Matilde Gucciardi 
MUAH Assistant Claudia Coccoli 
Models La VesuviaManuela Renza BassoliElisa Del GenioGiovanni BuselliGianluca SpagnoliLuisa FormatoValerio MutoRoberta MingoCiro Tolomelli

Special thanks to Mimì alla Ferrovia.
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J'Adore Pino D'Angiò

Quella di Pino D’Angiò è una storia di rivalsa che ha finito per cambiare la vita non solo del cantautore, ma anche di tutti i suoi collaboratori, della città di Napoli, di un’intera nuova generazione di amanti della disco italiana. Nato a Pompei nel 1952, D’Angiò è stato uno dei principali esponenti del genere disco all’estero, avendo raggiunto le vette delle classifiche internazionali nel 1980 con l’ormai iconico brano Ma Quale Idea. Diciamo iconico perché, a distanza di più di quarant’anni, echeggia ancora nei club e nei teatri più affermati d’Italia, dall’Apollo di Milano all’Ariston di Sanremo. È proprio qui che la voce di Pino D’Angiò, seppur provata da diverse malattie e interventi, ha fatto breccia nel cuore di un nuovo pubblico, dal palco di DiscoStupenda, evento realizzato dal produttore e DJ TommiBoy, alla 74esima edizione del Festival della Canzone Italiana, invitato dal gruppo in gara Bnkr44 per la serata cover. La figura di Pino D’Angiò trascende epoche e generazioni diverse, corteggiata da sempre dagli Stati Uniti ma riscoperta solo recentemente dal pubblico italiano. Il suo sound ineguagliabile, che entra in testa e nelle vene smuovendo i piedi anche a chi, di ballare, di solito non ha voglia, è stato riconosciuto in lungo e in largo da premi (è stato l’unico italiano a ricevere il premio Rhythm & Soul Music Award dell’ASCAP, nel 2001) e inviti prestigiosi (l’unico invitato italiano al World Tribute to the Funk di Sony Music, nel 2003). Ma ciò che ha reso Pino D’Angiò una voce fuori dal coro è stata la sua personalità, esuberante, sorprendentemente paterna. Era una pecora nera della musica italiana: non aveva voglia di fare il cantante negli anni ‘80, eppure gli è bastato un brano per sfondare all’estero; non aveva voglia di tornare a esibirsi nel 2023, eppure gli è bastato un concerto per capire che, in fondo, non era mai andato via.

«Pino mi ha cambiato la vita, ma ce la siamo cambiata a vicenda» — Tommiboy

L’ultimo progetto del cantautore italiano, "J’Adore Pino D’Angiò - Registrato a Napoli", raccoglie in un unico vinile non solo i suoi più grandi successi, ma anche i luoghi e le persone che hanno supportato il cantautore negli ultimi anni: la sua band, il figlio Francesco Chierchia, il collaboratore TommiBoy, i Bnkr44 ma anche Napoli, culla culturale della disco italiana. Il disco è stato registrato a Posillipo, sullo sfondo azzurro di una terrazza vista Vesuvio, ed è stato un vero e proprio concerto all’aria aperta a richiamare l’attenzione di tutto il vicinato, affaciatosi alle finestre per assistere all’ultimo show del maestro della disco italiana. Un progetto che ha cominciato a prendere forma due anni fa, quando Tommiboy ha convinto il figlio, Francesco Chierchia, a passargli il numero di telefono di D’Angiò. «Non ne voleva sapere di tornare a suonare, ho passato mesi a cercare di convincerlo finché alla fine non ha detto “basta, mi ha rotto le scatole, vengo e facciamo quello che devo” - ricorda il fondatore di DiscoStupenda - Io ero entusiasta di lavorare con il mio idolo, che poi ho scoperto essere un secondo padre acquisito». La serata all’Apollo è stata un successo, brulicava di ragazzini scalpitanti che non vedevano l’ora di cantare insieme a D'Angiò, che invece era rimasto completamente sorpreso da quanto la sua musica fosse in linea con i gusti delle nuove generazioni. Da lì in poi il funk di Ma Quale Idea è decollato, tornando a scalare le classifiche internazionali e portando il suo autore a viaggiare in giro per il mondo in una tournée speciale, accompagnato con una live band tutta napoletana, fino alla collaborazione con i Bnkr44 sul palco di Sanremo.

«Voleva prendere in giro gli stereotipi dell’epoca, a volte si divertiva a scrivere testi molto seri, altre molto ironici, ma sempre con una punta di realismo» — Francesco Chierchia

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Se negli anni ‘80 l’ironia di Ma Quale Idea era passata in sordina, forse vittima di una cultura ancora legata alla figura dello stesso macho che D’Angiò prendeva in giro nel brano, nel 2023 ha riscontrato il meritato successo. «Voleva prendere in giro gli stereotipi dell’epoca - dice Chierchia ricordando le genialità del padre -  a volte si divertiva a scrivere testi molto molto seri, altre volte molto molto ironici, ma sempre con una punta di realismo». E mentre la figura del “Dandy”, come dice Chierchia, una volta sceso dal palco scompariva, la leggerezza e la simpatia delle sue canzoni restava immutata anche lontano dai riflettori. Per Andrea Balbucea, tastierista di D’Angiò, era «il divo più divo che io abbia mai visto, senza esserlo per niente», mentre il chitarrista Alessio Pignorio ricorda: «Riusciva a spiazzarci tutti con le sue battute in maniera disarmante al punto che tutti lo guardavamo imbambolati senza capire se facesse sul serio o scherzasse». Per tutti i suoi colleghi, D’Angiò è stato un idolo trasformato in figura paterna, un amico dal magnetismo eccezionale che, come descrive bene TommiBoy, ti faceva sognare di averlo conosciuto durante gli anni d’oro della musica disco. «Spesso scherzavamo dicendo che sarebbe stato bello fare tutto quello che abbiamo fatto insieme negli anni ‘80, ci sarebbe piaciuto essere coetanei». Il divario di età che separava il cantautore dai suoi collaboratori era però solo apparente, come ricordano i Bnkr44, anzi uno dei tanti elementi da cui il cantautore poteva prendere spunto per le sue battute. «Lavorare con Pino è stata una delle esperienze più divertenti e spontanee della nostra carriera. Si è creata una affinità naturale, un umorismo condiviso e un'amicizia fraterna e paterna allo stesso tempo», ricordano i membri della band che hanno rivisitato Ma Quale Idea insieme a d’Angiò, per la 74esima del Festival di Sanremo.

«È stato un esempio di come si fa questa vita, di che cosa significa: ho conosciuto una persona intelligente, colta, tenera, forte, ironica, divertente. Il divo più divo che abbia mai visto, senza esserlo per niente» — Andrea Balbucea

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Oltre al sound inebriante e all’ironia spiazzante delle sue canzoni, ciò che davvero rimarrà impresso di D’Angiò sarà sicuramente l’approccio disinibito con cui si è rimesso in ballo. La stessa libertà e sregolatezza che rammentano Chierchia, TommiBoy, Balbucea, Pignorio e i Bnkr44 di D’Angiò è stata l’arma vincente del suo ritorno, un modo di fare vero che è riuscito a entrare nel cuore di pubblici sempre più ampi proprio perché non aveva intenzione di farlo. Come dice TommiBoy, ha scelto di tornare a cantare non perché voleva «ripartire dal mondo mainstream», ma per «divertirsi», e lo stesso è stato per il tour, la performance di Sanremo e il live a Posillipo, il suo ultimo progetto di carriera. «Abbiamo deciso di fare quello che gli piaceva in un mondo completamente cambiato rispetto a quarant’anni fa». Se non è proprio questo, l’animo della musica disco funk napoletana: libertà, voglia di divertirsi e una sana dose di groove.

Mix & Master Maurizio Loffredo presso "Gli Artigiani Studio" - Formello (RM)
Photographer Francesco Freddo
Cover Art Director Alessandro Bigi
Editorial Coordinator Francesco Abazia
Producer Elisa Ambrosetti, Cecilia Corsetti
Creative Director Gianluigi Peccerillo
Project Manager Alessia Sciotto
Interview Adelaide Guerisoli
Special Thanks to Tommiboy

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