Sulla pelle.
15 Marzo 2010
Perché si arriva ad un punto nella propria esistenza dove si sente il bisogno di marchiarsi a vita l’epidermide, in ricordo di un momento, un’emozione, un sentimento presente o passato?
Perché il giovane, ma anche il meno giovane, ad un certo punto sceglie di testimoniare un pensiero in modo forte e vivo, con un segno, unico e inimitabile, che imprime sul corpo un tratto distintivo della propria umanità? E’ realmente un’esigenza o una moda? Una febbre collettiva o un bisogno vero e sincero di comunicare attraverso un mezzo concreto e reale, la nostra carne, un messaggio affinché qualcuno lo ascolti?
Penso che non si possa rispondere a questa domanda. Non perché non ci sia risposta, ma perché quest’ultima si declina e si modifica, al variare dei tatuaggi che ognuno porta sulla pelle e che raccontano qualcosa di sé.
Tatuaggi che nell’ultimo periodo sono tornati alla ribalta, facendo sempre meno galeotto in libera uscita, e sempre più icona fashion, da seguire e da imitare. A mio avviso però, oggi, l’essenza del tatuaggio, diventando moda, si è un po’ perduta. Ciò che, infatti, dovrebbe resistere al tempo e porsi come indissolubile, è stato sottoposto ad un’alterazione, seppur sofisticata, della propria realtà. E adeguandosi alle regole del fashion system e al superficiale gioco del cambiamento e della trasformazione, ha accettato di vedere modificata la sua radicale inalterabilità a favore di più frivoli e veloci “marchi” usa e getta.
Da Chanel non si rinuncia così alla confezione di tattoos, che in poco tempo e senza alcun dolore, promette di adornare il vostro derma di perle, colombe e simboli della maison. Per chi voglia rendere il gioco ancora più veloce, ancora più immediato, ci sono poi i collant di Marchesa, ad esempio, che in un attimo si tirano su e tac: il tatuaggio è bello che fatto. Per poi essere ovviamente dismesso un paio d’ore più tardi, quando rientrati a casa le calze vengono sfilate via.
Che fine hanno fatto il dolore, l’attesa nello studio dell’artista, la paura del dopo- quando quel disegno scolorito non ci provocherà più emozione-, le critiche per il soggetto scelto male, eccetera?
Tutto finito, per fortuna o sfortuna -questo lo lascio decidere a voi- grazie a queste nuove tecnologie fashion, che ti permettono in un attimo di immedesimarti in uno stile, per poi passare a quello successivo l’attimo dopo.
E’ come se avessimo tutti rinunciato all’originale, per accontentarci di quello “pezzotto” che ai miei tempi, seppur non firmato Chanel, si trovava nelle bustine di patate confezionate e si applicava con l’acqua.
Facilità nel tatuarsi o tatuare, che addirittura si estende, generalizzando il discorso, alla vita quotidiana, dove tattoos/stickers adornano la casa del giovane ribelle, come da UrbanOutfitters, che in un mese può decidere di giocare con il suo muro bianco, incollando fumetti e paesaggi a volontà.
Posizione critica la mia? Io direi più analitica della situazione attuale. Perché di una cosa sono certa, se dovessi fare un tatuaggio, oggi, non mi accontenterei mai di uno che mi arriva a casa preconfezionato, chiuso in una busta e con un po’ di colla vinilica a seguito!!!