Breve analisi del successo di Carhartt WIP
Aspettando l'uscita del libro che celebra il brand
24 Ottobre 2016
Quando ero una ragazzina, alcuni dei miei amici erano degli skater. Ricordo che, tra i molti brand che mettevano in bella mostra sulle loro felpe larghissime e i loro jeans lisi, uno su tutti regnava incontrastato: Carhartt WIP.
L'inconfondibile “C” arancione sui beanies, sulle giacche sportive e le t-shirt non era un semplice logo, era un marchio di riconoscimento tra i giovani che praticavano lo stesso sport, che avevano le stesse passioni e, soprattutto, la voglia di evadere dalla routine e distinguersi da chi non era come loro. Era un simbolo che rappresentava uno stile di vita, ancor prima che un brand d'abbigliamento.
Quella “C” era un simbolo allora e lo è ancora oggi. Per questo motivo l'azienda ha realizzato The Carhartt WIP Archives, la prima monografia dedicata al brand, curata da Michel Lebugle e Anna Sinofzik, con testi di Gary Warnett e Mark Kessler. Il libro, pubblicato da Rizzoli, presenta più di 350 fotografie esclusive, artwork e materiale inedito dall'archivio dell'azienda, ma anche citazioni di alcune delle figure chiave e collaboratori che negli anni hanno avuto modo di avvicinarsi al brand. Si tratta, quindi, di un viaggio nell'universo Carhartt WIP, che mostra come il marchio sia diventato nel tempo un vero emblema della cultura underground.
La pubblicazione, infatti, parte dalla nascita di Carhartt WIP, ovvero nel 1989, quando la Work In Progress di Edwin Faeh si unisce alla Carhartt USA, azienda d'abbigliamento nata nel Michigan cento anni prima. Da quel momento il marchio, con sede a Londra, ha sempre portato avanti una certa street attitude che ha contraddistinto Carhartt, che, nato come linea d'abbigliamento per operai delle miniere e ferrovie, aveva conquistato le masse delle città grazie alla sua immagine anti-fashion.
Questo spirito anticonformista si è rafforzato nel tempo, attirando le subculture giovanili che hanno eletto Carhartt WIP a baluardo dello streetwear. Non è un caso che la storia del brand si sia legata al film-cult La Haine di Mathieu Kassovitz: il famoso beanie con la “C” del logo appare indosso a uno dei protagonisti del film, consacrando il successo del marchio tra i giovani delle periferie parigine.
Un altro momento importante per l'affermazione del brand all'interno delle sottoculture giovanili è avvenuto nell'estate del 2011, a Londra, quando uno degli store Carhartt WIP fu distrutto da una folla di ragazzi durante i disordini nel quartiere di Hackney. Gli assalitori saccheggiarono l'outlet, rubando i capi del brand. Tuttavia, questo atto vandalico fu visto dall'azienda come una specie di affermazione all'interno delle comunità underground: il fatto che Carhartt WIP fosse stato scelto come negozio da derubare, poteva essere interpretato come gesto di apprezzamento, quasi un complimento verso il lavoro dell'azienda.
Parafrasando l'evento, Carhartt WIP era diventato un brand che valeva la pena derubare pur di avere un suo capo firmato. Non a caso, tempo dopo, il marchio lanciò una T-shirt con sopra la foto dell'assalto di quel giorno.
Carhartt WIP si è fatto amare anche nel mondo della musica, conquistando artisti internazionali della scena Rap/Hip Hop, da Tupac a Kanye West. Non solo, anche nella moda di lusso il brand ha saputo guadagnarsi la stima di nomi affermati. Ne sono un esempio le numerose collaborazioni con i grandi delle passerelle come Junya Watanabe, Undercover by Jun Takahashi e, quella più recente, con Vetements, il quale ha incluso il brand nella sua collezione multi-collaboration.
Dagli operai delle periferie americane fino al successo sulle pagine di Vogue, Carhartt WIP è sempre rimasto il simbolo della cultura di strada, sinonimo di anticonformismo e ribellione giovanile.
Il libro The Carhartt WIP Archives, disponibile dal 4 novembre, vuole omaggiare proprio questo spirito rivoluzionario del brand, che da anni conosce e interpreta la vita di strada come nessun altro sa fare.