Hello London #12 - CSM Graduates
Intervista a Edwin Mohney e Camilla Mecacci
27 Luglio 2016
Da una parte le silhouette ad abat-juor di Camilla Mecacci, che, in un mix accattivante di femminilità e innovazione, di sofisticatezza e modernità, reinterpreta la classica gonna a pieghe facendone un’opera d’arte; dall’altra Edwin Mohney e la sua distopica realtà, fatta di fluorescenti figure a tratti disumanizzate, avvolte in nastro adesivo dipinto o ricoperte di glitter.
Oggi mettiamo a confronto due neo laureati della Central Saint Martins, con narrative agli antipodi, ma accomunati dall’uso di materiali inaspettati e dalla connotazione diaristica attribuita alle proprie creazioni. Qui, ci parlano dei loro studi, della collezione di laurea e del perché, dopo Brexit, la moda inglese non sarà più la stessa.
Parlami un po’ della tua formazione e dei tuoi studi. Qual è stato il tuo primo contatto con la moda? Come è stata la tua esperienza alla CSM?
Mecacci: Ho iniziato ad interessarmi ai vestiti fin da quando ero piccola, curiosando nell’armadio di mia madre e disegnando incessantemente figurini, vestiti e fantasie. Il modo in cui il tessuto adorna il corpo mi ha sempre affascinato. Da bambina sceglievo sempre i vestiti che volevo mettermi e ricordo che ad alcuni ero molto legata, soprattutto a quelli trasmessi da una generazione all’altra. La CSM è l’habitat naturale di chi ama essere messo alla prova. Sei circondato da compagni pieni di talento, con personalità forti e culture diverse. I tutor non soltanto ti spronano dal punto di vista creativo, ma esigono anche tu presenti un prodotto finito: una combinazione ti porta ad adattarti a qualsiasi lavoro ed essere un creativo professionista.
Mohney: Vengo da una piccola città ad un’ora da Buffalo, NY. E’ una cittadina sonnolenta sul finire di un’autostrada, non c’è bisogno di dire che la moda è una realtà lontana. Non sapevo niente di moda prima di avere accesso a internet, attorno ai 13 anni. Tornavo a casa da scuola e studiavo assiduamente Style.com. Era una fuga dalla monotonia della mia vita a quei tempi. Dopo il liceo ho frequentato il Fashion Institute of Technology a NYC per due anni, poi sono andato alla CSM.
La mia esperienza qui è stata fantastica. Le persone sono di gran lunga la parte migliore ed i progetti che devi fare sono come un bonus. Penso davvero che la possibilità di scoprire così tanto su te stesso in un ambiente sicuro e con altre persone che fanno lo stesso sia una cosa estremamente rara.
Hai fatto qualche internship? Come è stata questa esperienza?
Mecacci: Ho trascorso un fantastico ‘placement year’ a Parigi, dove ho passato 6 mesi da Sonia Rykiel e 8 mesi da Maison Margiela. Da Sonia Rykiel ho imparato a disegnare per donne moderne, sulla base delle necessità quotidiane. Ho appreso un metodo efficiente che potrò applicare a qualsiasi altro lavoro. Da Margiela è stata un’esperienza surreale: trovarmi nel loro edificio tutto bianco (prima un convento, poi una scuola elementare) e avere la possibilità di conoscere quell’azienda così segreta è stato magico.
Mohney: Quando mi sono trasferito a Londra volevo imparare a crescere un business e mi sono impegnato a lavorare per compagnie da cui potessi davvero imparare, come Craig Green, Ashish, Koché, e Bernhard Willhelm. Un’internship per me è come seguire un corso tenuto da un professionista direttamente nel suo studio. Non puoi essere schizzinoso con quello che ti capita di fare all’inizio perché tutti devono fare gavetta. L’unico modo per imparare è sporcarsi le mani.
Come descriveresti la tua estetica?
Mecacci: Lavoro con gli opposti: pulito/creativo, classico/sperimentale. Sono molto attenta al colore e alla forma, non mi piace qualcosa che sembri troppo bizzarro, preferisco reinterpretare i classici con un approccio sperimentale e nuove tecniche.
Mohney: Per certo è stravagante e meravigliosa, sul resto ci sto ancora lavorando. Arriverà sicuramente un momento in cui sarò pronto a definirla.
Che cosa o chi ti ispira?
Mecacci: Essere aperta ad ogni possibilità e non giudicare ciò che mi circonda. Trovo ispirazione nella quotidianità – quello che le persone inconsciamente o consciamente indossano, cosa fanno con i loro vestiti –, ma rapporto sempre tutto alla mia esperienza. Quello che ho fatto finora è stato molto personale, volevo davvero arrivare a capire la mia identità.
Mohney: Le persone sono la mia maggior fonte di ispirazione, ma uso spesso il mio lavoro come un diario. Di solito qualsiasi cosa mi stia succedendo in un certo momento confluisce nel risultato finale.
Parlami della tua collezione di laurea. Qual è stato il punto d’inizio? Cosa l’ha ispirata e cosa volevi comunicare attraverso di essa?
Mecacci: Il Padiglione Italia alla Biennale di Venezia 2015 era interamente dedicato al concetto della Memoria. Quando l’ho visitata la scorsa estate, ho realizzato che l’anno che avevo davanti sarebbe stato un lungo viaggio di introspezione ed esplorazione. Ho amato soprattutto l’installazione di Vanessa Beecroft, il suo essere classica e contemporanea e come i busti apparissero delicati anche se fatti di marmo. Sovvertendo la natura e la percezione dei materiali, ho applicato il contrasto duro-delicato ai vestiti, affidandomi a tessuti come il jersey, satin, latex, e sviluppando tecniche che sono in contrasto con la natura dei tessuti. Il caso di studio è la gonna a pieghe, in quanto capo con cui mi identifico. Ho portato il concetto all’estremo producendo gonne in alluminio, che stanno lontane dal corpo e creano uno spazio fra il capo e la persona. Proponendo 12 gonne a pieghe ho creato un gioco di ripetizione, considerando anche che ho scelto modelle non molto alte che in qualche modo mi somigliano.
Mohney: La collezione è stata la progressione naturale di un corpus di creazioni su cui avevo lavorato a inizio anno. Ho scoperto che potevo usare il nastro adesivo per creare calchi di persone e oggetti dopo aver provato diversi modi per creare vestiti il più istantaneamente possibile. Mi interessava molto anche creare qualcosa che generasse una risposta emozionale nello spettatore. Con queste due cose in mente ho attribuito ad ogni look una mia paura personale e l’ho usata per ispirare una forma. Il solo fatto di essere avvolto o avvolgere qualcun altro col nastro adesivo creava di per sé una performance ogni volta che un nuovo capo veniva prodotto. Alla fine volevo enfatizzare il tutto con una coreografia per lo show che trasmettesse il messaggio. L’idea era che sembrasse un incubo.
C’è qualche messaggio che vuoi trasmettere attraverso le tue creazioni?
Mecacci: L’obiettivo di questo progetto è di penetrare l’esperienza di indossare vestiti ogni giorno e di dimostrare il legame fra corpo e vestito nella pratica quotidiana e in relazione alla nostra memoria. La gonna a pieghe ha una connotazione personale per me, dato che mia madre e mia nonna la indossano sempre, e il mio capo preferito è una gonna a pieghe vintage color pesca, che ho finito per includere nella sfilata come uno dei look. Invito il pubblico a ripensare le convinzioni sulla moda e ad interpretare i vestiti in senso più intimo.
Mohney: Penso che le persone facciano presto ad etichettare la moda come qualcosa di monodimensionale. Ho sempre provato a definire quale fosse l’elemento fashion di ogni progetto a cui lavoro e poi adattarmi a quello. Torno sempre all’importanza della flessibilità e dell’adattabilità.
Cosa pensi Brexit significherà per la moda inglese e i giovani designer?
Mecacci: Non mi aspettavo che Brexit sarebbe diventato realtà; lasciare l’Europa sembrava impossibile. La svalutazione della sterlina avrà gravi conseguenze economiche sulla produzione e le vendite, sempre meno turisti verranno a comprare beni di lusso a Londra. É un peccato che il governo del Regno Unito voglia scartare coloro che hanno reso l’industria creativa (e non solo) così prospera. Per cosa sarà conosciuto il Regno Unito quando tutti avremo lasciato il paese? Londra si basa sullo scambio culturale ed è famosa per offrire opportunità agli stranieri. La nostra generazione già trova Londra troppo cara e migra verso altre capitali europee. Dopo Brexit, i fondi e gli investimenti europei cesseranno e molti studenti europei non potranno più permettersi le tasse internazionali, che sono 3 volte più alte. Londra smetterà di attrarre i giovani.
Mohney: Non riesco davvero a vedere un lato positivo per Brexit, voglio che sia chiaro che sono assolutamente contro. Sono ancora molto amareggiato da tutto ciò e quanto la politica sia stata ridicola. Penso che la moda inglese sarà costretta a fare un passo indietro e che i posti di lavoro disponibili a Londra si ridurranno ancora più di quanto non abbiano già fatto negli ultimi anni. I giovani designer dovranno essere creativi e inventarsi nuove opportunità. L’industria per come la conosciamo potrebbe vacillare, ma non è detto che altre industrie correlate alla moda non saltino fuori in reazione al cambiamento.
Cosa possiamo aspettarci da te nel futuro?
Mecacci: Sto lavorando a qualcosa di molto diverso. Al momento sento di volermi mettere di nuovo alla prova e creare pezzi più funzionali, adeguando le mie idee a soluzioni più portabili.
Mohney: Sono stato preso al MA alla CSM e inizierò il corso in autunno. Nel frattempo sto lavorando ad altri progetti. Il mio obiettivo per il lungo termine è quello di avere la mia azienda, ma non c’è fretta. Voglio che la mia carriera nella moda parta nel modo migliore, non in quello più veloce.