La Moda Plus-Size non è quello che sembra
Le lacune dell'offerta curvy
07 Gennaio 2016
Lo scorso mese il Parlamento francese ha approvato la legge che regola la “magrezza” delle modelle. Quest'ultima prevede due provvedimenti di massima importanza. In primis, le modelle che lavorano in Francia devono presentare un certificato medico che attesti che “lo stato di salute della modella o modello, valutati soprattutto in riferimento all’indice di massa corporeo, sia compatibile con l’esercizio della professione”.
Inoltre, la legge prevede che le immagini di moda con ritocchi digitali che modificano la silhouette della modella debbano riportare l'etichetta “foto ritoccata”.
La legge non solo tutela la salute delle modelle, ma soprattutto salvaguardia i fruitori della moda, sempre più bombardati da immagini iper-glamour che non rispecchiano la verità e che, in alcuni casi, promuovono canoni estetici inverosimili e malsani.
La notizia ci porta ancora una volta a interrogarci sulla troppa magrezza che spesso sfila in passerella e sul mai cessato allarme anoressia. Tuttavia, sono tematiche delicate che un articolo di tremila battute non può affrontare in modo esauriente, ma questo mi porta a pensare a un'altro aspetto correlato all'idea del corpo nella moda: come procede la Rivoluzione Curvy?
La Moda Curvy è esplosa sulle pagine patinate delle nostre riviste preferite qualche anno fa, presentandosi come una svolta estetica per le clienti plus-size che vogliono sentirsi glamour in un mondo di taglie 38 e per sensibilizzare l'opinione pubblica sulla carenza di modelli di riferimento “in carne”.
Per molto tempo non si è parlato di altro, molti magazine hanno introdotto rubriche specifiche per il pubblico plus-size e molti brand hanno creato linee ad hoc per le clienti formose.
Tuttavia, la storia non mi ha mai convinto. C'è sempre stato qualcosa che stonava, ma non ho mai capito cosa non funzionasse. Poi mi sono imbattuta in un articolo di Bethany Rutter per Dazed and Confused e mi sono chiarita le idee.
La critica si articola su due punti: lo scopo ultimo della moda plus-size è farvi credere che non siete grasse; il secondo è quello di proporre standard di bellezza stereotipati che impongono una femminilità costruita su concetti rigidi e poco rappresentativi dell'intera fascia di mercato. Insomma, se hai le curve di Kim Kardashian sei ok, ma se superi il limite allora scusate, non possiamo vestirvi.
Bingo. Il problema sembra essere il fatto che l'industria della moda non riesca davvero ad accettare il fatto che possano esistere persone grasse. E non solo, la “grassezza” appare ancora come un tabù, perfino io mi accorgo di aver utilizzato con cautela il termine “grasse” in queste articolo.
Bethany Rutter, riassumendo, invita a prendere coscienza della propria fisicità e a vestirsi per quello che siete, ovvero grasse. I brand mainstream, dice Bethany Rutter, illudono le clienti plus-size, limitandosi a realizzare pochi modelli imposti dall'idea comune di come una ragazza grassa dovrebbe vestirsi. Inoltre, spesso gli abiti sono rivisitazioni di modelli skinny per taglie forti, senza tenere conto delle esigenze di silhouettes così diverse.
Per quanto riguarda l'editoria italiana, invece, ho sempre pensato che avesse delle grosse lacune. In primis, secondo me il mondo Curvy viene spesso ghettizzato: rubriche a parte, articoli speciali e ancora ci entusiasmiamo quando una rivista pubblica foto di una modella grassa. Tutto questo, personalmente, mi sembra una forzatura mediatica e patetica, mentre si tratta di una realtà che dovrebbe essere ormai inclusa nella moda in modo spontaneo e naturale. Questa gara a chi ha più articoli sulla Moda Curvy fa apparire le lettrici grasse come “non normali” e quindi bisognose di spazi speciali.
Altro aspetto: la moda Curvy è stereotipata. Pensateci, la maggior parte dei servizi fotografici offrono un'immagine delle plus-size riassumibile in due styling principali: sensualità mediterranea in lingerie e un mood scherzoso-cartoonesco, with a touch of vintage vibes. Come se una ragazza grassa non possa ambire a vestirsi in un altro modo, magari più trendy o contemporaneo.
Infine, spesso mi sono imbattuta in guide allo shopping per fashion victims plus-size in cui per “plus-size” intendevano una taglia 44, non prendendo in considerazioni le taglie più forti.
L'industria del plus-size fashion sembra essere ancora solo una bella favola da raccontare al pubblico, ben lontana dall'essere reale.