
A che punto siamo con i Digital Passport del lusso?
Il potenziale c’è, ma è l’esecuzione è ancora lontana
18 Febbraio 2025
È passato poco più di un anno da quando i principali nomi del lusso hanno iniziato a introdurre i Digital Product Passport (DPP): identificazioni digitali, accessibili tramite smartphone, che garantiscono autenticità e tracciabilità dei prodotti. L’idea non è nata direttamente dal settore moda, bensì come risposta alle imminenti normative europee in materia di sostenibilità (il Regolamento sulla progettazione ecocompatibile dei prodotti sostenibili), che a partire dal 2027 renderanno obbligatorio il passaporto digitale per fornire informazioni chiare sulla provenienza e la circolarità dei beni. Il vantaggio immediato, però, è che queste soluzioni non solo promettono di tutelare i consumatori contro le contraffazioni, ma offrono anche nuove opportunità per i brand di rafforzare la relazione con i loro clienti. La maggior parte dei brand di lusso, ha colto al volo l’occasione di dotarsi di DPP per contrastare una volta per tutte il mercato dei falsi. Stefano Rosso, ex-CEO di OTB Group (Maison Margiela, Marni, Diesel, Jil Sander), aveva già sottolineato come questi passaporti digitali possano fornire una prova “incontrovertibile” dell’autenticità del prodotto, innalzando il livello di fiducia da parte del consumatore. Ma la potenza del DPP non si limita a questo, infatti secondo Rosso i passaporti digitali hanno la capacità di trasformare l’esperienza d'acquisto in un percorso di interazione con il brand genuino, grazie a funzioni come il monitoraggio del ciclo di vita e l’accesso a servizi di manutenzione, assistenza e rivendita.
With Gynger’s Digital Product Passport, you can see where the bra was manufactured, what makes it sustainable, what fabrics it’s made of, its carbon footprint, and more! Tap the link in bio to learn more about Adore Me’s sustainability initiatives. #adoreme #adoremecares pic.twitter.com/kBWUUtRvo9
— Adore Me (@AdoreMe) January 29, 2025
Anche se la tecnologia è ormai disponibile, la vera partita si gioca sulla diffusione dei DPP tra i consumatori. L’esistenza di un certificato digitale, infatti, non basta da sola a incentivarne l’utilizzo. Come spiegato da Business of Fashion, i compratori vogliono sì la garanzia dell’autenticità e la conferma delle informazioni sul prodotto (quali materiali, provenienza, metodi di produzione), ma cercano anche contenuti utili, come manuali di manutenzione e riparazione, estensioni di garanzia e possibilità di rivendere il proprio acquisto quando lo desiderano. Non deve quindi sorprendere che alcune iniziative, come quella di Coach con la collezione Coachtopia, puntino sull’integrazione con piattaforme di rivendita (Poshmark) direttamente tramite il DPP. Da un lato, questa strategia permette al brand di rimanere in contatto con l’acquirente lungo l’intero ciclo di vita del prodotto; dall’altro, offre al consumatore un servizio tangibile, semplificando la rivendita e potenziando un’esperienza d’uso che si protrae ben oltre il momento dell’acquisto. Perché il passaporto digitale diventi uno strumento effettivamente desiderato, occorre insomma trasformarlo da semplice “appendice” tecnologica in un reale hub di servizi e contenuti, senza dover andare in-store.
Alcuni settori si prestano più di altri all’implementazione di queste soluzioni. Secondo una ricerca di Vogue Business risalente allo scorso maggio, i consumatori che si interessano ai passaporti digitali sembrano aspettarseli soprattutto nelle categorie di maggior valore percepito: borse, orologi e gioielli (con tassi di preferenza intorno all’80%), seguiti da piccola pelletteria e capi d’abbigliamento (40%). Il fanalino di coda resta il comparto calzature, con meno del 30% degli intervistati intenzionati a utilizzare i DPP su questo tipo di prodotto. È evidente come l’idea di “certificazione” risulti più rilevante laddove il bene è considerato un investimento o un oggetto iconico, con un mercato di rivendita particolarmente vivo. Per quanto riguarda i singoli brand, i consumatori guardano soprattutto alle grandi firme della moda e del lusso. In cima alle aspettative spicca Chanel (46%), seguita da Gucci, Hermès, Prada, Dior e Louis Vuitton, tutte con almeno il 30%. Ciò riflette la volontà di chi acquista prodotti di fascia alta di avere un’ulteriore garanzia di qualità e originalità, spesso per oggetti dal prezzo considerevole.
Tra le piattaforme che stanno costruendo soluzioni DPP, Eon è una delle più attive: la sua tecnologia permette di creare digital ID per i prodotti, collegandoli in modo permanente a un database che contiene informazioni sul loro intero ciclo di vita. In questo modo, i brand non perdono traccia dei movimenti post-vendita e, soprattutto, possono sfruttare ogni passaggio di mano come opportunità per raccogliere dati e generare ricavi aggiuntivi. L’obiettivo ambizioso di Eon è costruire un vero “ecosistema” che includa non solo i marchi e i consumatori, ma anche rivenditori dell’usato, piattaforme di riciclo e persino ambienti Web3, in un’ottica di interoperabilità. Un ulteriore incentivo alla diffusione dei DPP sarà il progressivo inasprimento delle normative in tema di sostenibilità e trasparenza. Infatti la tecnologia di Eon sta diventando un punto cruciale per le vendite del mercato second-hand, che nell’ultimo anno è diventato tra i più proliferi del panorama della moda. Il vero salto di qualità però sarà tangibile quando i passaporti digitali diventeranno parte integrante dell’esperienza di acquisto e non verranno più percepiti non come un semplice “extra” ma come una componente necessaria per comprendere pienamente il valore del prodotto. Da qui potrebbe nascere un nuovo modello di lusso, più consapevole e trasparente, in cui ogni articolo non rappresenta solo uno status symbol, ma un investimento tracciabile e un elemento di dialogo costante tra brand e pubblico. D’altronde quello che sembra essere il sentimento trainante dell’attuale panorama di lusso (fortemente in crisi) è il desiderio di esperienze genuine che riescano a far sentire il consumatore legato al brand e al processo d’acquisto.