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Perché è così difficile fare un reso?
Se online è una seccatura, l'esperienza in store sembra essere pure peggio
30 Gennaio 2025
Ci sono diversi fattori che influenzano la percezione di un brand: dall’esperienza in negozio alla velocità dell’interfaccia online, passando per l’identità del marchio e le strategie di marketing. Tra tutti, però, la customer experience è uno dei touchpoint più determinanti perché incide in modo diretto su come i consumatori valutano un brand. Nel caso di molti marchi di fast fashion e affini, la vendita al dettaglio rappresenta il “test” più immediato di questa esperienza, data la grande quantità di transazioni quotidiane. Non tutti gli acquisti, però, si concludono felicemente: la frustrazione per un capo sbagliato o semplicemente il ripensamento possono portare a un reso, un passaggio centrale soprattutto per i grandi brand internazionali della moda. I resi non sono solo un aspetto logistico, ma anche un’occasione fondamentale di contatto con il cliente, in grado di incidere sia sulla fidelizzazione sia sulla percezione dell’efficienza operativa di un marchio. Un’analisi approfondita su 4.541 recensioni, che include i feedback pubblicati su Yelp (la piattaforma principale usata negli Stati Uniti per recensire attività e negozi) per 29 punti vendita a New York, mostra chiaramente come alcune catene abbiano imparato a gestire i resi in modo fluido, mentre altre stentino a contenere i disagi, con tempi di attesa che mettono a dura prova la pazienza dei clienti. La ricerca, firmata Classy Leather Bags, evidenzia differenze rilevanti l’efficacia delle procedure di reso: se da un lato alcuni negozi hanno ottimizzato i propri sistemi, altri presentano tuttora margini di miglioramento.
why is @ZARA customer service soooo terrible omg
— A L E (@aleja_xo) December 17, 2024
Tra i risultati più interessanti figura UNIQLO, che con 1.722 recensioni analizzate, di cui 120 legate a esperienze di reso negative, ha mantenuto un tasso di insoddisfazione particolarmente basso, pari al 6,97%. Un risultato notevole, considerando anche che il tempo di attesa medio si aggira intorno ai 16,71 minuti. In confronto, Zara registra un 27,60% di recensioni negative (con 353 reclami su 1.279 recensioni) e un tempo medio di 18,34 minuti. Nordstrom, pur vantando una reputazione di servizio clienti premium, tocca i 22,81 minuti di attesa media (il più alto tra i brand analizzati) e un tasso di recensioni negative del 12,53%. H&M si assesta invece all’8,67% di reclami insoddisfatti (16,84 minuti di attesa), mentre American Eagle, con i suoi 10,58 minuti di media, risulta il più rapido pur avendo un tasso di negatività dell’11,06%. Non mancano testimonianze che offrono spaccati più umani sulla questione: un cliente di Zara lamenta un servizio definito «semplicemente disastroso», mentre da Nordstrom, nonostante attese più lunghe, alcuni recensori lodano gesti di cortesia come brownie offerti dal personale o campioncini cosmetici regalati durante la coda. Sembra quindi che il prezzo o la fascia di mercato non siano necessariamente garanzia di tempi rapidi o servizio impeccabile. Lo studio lo definisce premium paradox, un fenomeno che indica le inefficienze operative anche da parte dei retailer di fascia alta.
Lo studio sfata anche un altro falso mito che vede la convinzione che se il volume di vendite è alto, i tempi di attesa sono più lunghi. Se da un lato UNIQLO elabora il numero più alto di recensioni totali mantenendo un tasso di resi negativi tra i più bassi, dall’altro Zara, con un volume inferiore, accumula percentuali di insoddisfazione molto più alte. Oltre all’impatto economico (la National Retail Federation calcola che i resi costino ogni anno ai retailer statunitensi circa 816 miliardi di dollari), esiste anche un costo ambientale: trasporti, imballaggi e riassortimento contribuiscono a un’elevata impronta di carbonio. Tempi di attesa troppo lunghi o procedure poco efficienti, infatti, non fanno che aumentare consumi energetici, emissioni e sprechi. Lo scorso novembre era emerso che la situazione per i resi online è così nefasta che sono nate start-up e marketplace che lucrano sulla rivendita degli articoli restituiti al fine di ridurre l’eccesso di inventario ed evitare gli sprechi.
Le soluzioni, secondo l’analisi, puntano su processi di reso più semplici (American Eagle insegna, con i suoi tempi medi più rapidi), policy trasparenti e l’uso di tecnologie digitali per ridurre gli errori e migliorare la comunicazione con il cliente. Sono i dati a confermare che la vera differenza la fa la gestione strutturata dei resi, a prescindere dal posizionamento di mercato. Se UNIQLO fa scuola con il suo 6,97% di feedback negativo, Zara con il suo 27,60% ha invece ampio spazio di miglioramento. Indipendentemente da quanto sia “premium” il brand, la capacità di affrontare i resi in modo efficiente ed empatico rimane un indicatore cruciale di successo poiché mette in gioco sia la soddisfazione del cliente sia la sostenibilità delle operazioni di vendita. D’altronde le persone tendono a ricordare le interazioni umane, non il tempo che hanno passato in coda.