Il 2025 è l’anno del normcore
Cool = basic
14 Gennaio 2025
Nel mondo post-pandemico, quando si parlava di moda si faceva spesso riferimento ai micro-trend: un’“epidemia” a sé stante che per quasi cinque anni ha pervaso il sentimento comune, influenzando miliardi di giovani su cosa fosse davvero “cool”. Un cool che, in realtà, era solo apparenza: molti di questi micro-trend prendevano elementi di sottoculture e li rendevano non solo mainstream, ma anche fondamentalmente replicabili. In pratica, si trattava di far parte di una nicchia, ma grazie a TikTok. Nel 2024, però, si è riusciti a rallentare queste manie temporanee, sia per fattori socio-economici esterni, sia per quella che è stata definita la “fatica del lusso”. Si è così tornati a una sorta di valori di fabbrica nei cicli della moda. Grazie all’influenza di quello che viene chiamato “recession chic”, le diverse tendenze si sono riunite sotto l’intramontabile quiet luxury. Ma come ci si veste in quiet luxury senza lusso? Considerando che i prezzi hanno reso quasi impossibile investire in beni di alta qualità – e che i brand ne sono del tutto consapevoli – non resta che vestirsi in maniera tranquilla, normale. Come dichiarato da Dazed, infatti, nel 2025 la moda sarà basic: un basic che però incontra il grande revival dell’indie sleaze, ricordando sempre di più l’estetica della metà degli anni 2000, allontanandosi dal Y2K e abbracciando l’atmosfera di Glastonbury ai tempi d’oro delle band inglesi.
Il norm-core, tuttavia, abbandona l’avanguardia gotica degli ultimi anni (dall’estetica Opium ai “cavalieri” di Chrome Hearts, fino alla trasgressione tinta di fetish di MOWALOLA e JordanLuca, brand cresciuti anche grazie alle sottoculture della Gen Z) per passare da un dark massimalismo a una semi-noiosa normalità. Solo a un occhio inesperto, però, può sembrare noiosa: in realtà custodisce riferimenti al Dior Homme firmato Hedi Slimane e alla Jil Sander dei primi 2000. Una transizione discussa anche da Mina Le nel suo video essay the death of personal style, dove riflette sul passaggio del proprio stile personale, un tempo più eclettico e ora più rilassato. Nel video, Le sostiene che quella che molte testate hanno definito “la morte dello stile personale” negli ultimi due anni sia in realtà un semplice riorientamento di priorità da parte di chi opera nella grande sfera creativa (soprattutto nella moda): invece di concentrarsi sull’outfit, ci si dedica ad altre forme artistiche. Un esempio concreto viene dai direttori creativi dei brand, che spesso vestono jeans e maglioni anonimi.
Il passaggio verso il norm-core e una moda più basica è stato inoltre accelerato dall’appropriazione dell’estetica massimalista da parte dell’ultra-fast-fashion, che ha trasformato elementi di subculture (spesso anti-capitaliste) in capi fin troppo accessibili. Come ha scritto Dazed, mentre i club kids alternativi di qualche anno fa sono diventati “normali”, le popstar della radio hanno adottato estetiche lontane dal proprio sound. Un esempio lampante è l’improvviso cambiamento di stile di Damiano David, passato dai panni di rockstar con slip di pelle a rappresentante dell’alta sartoria italiana. In un panorama simile, icone considerate senza tempo ritornano a splendere: dal grande ritorno di Jane Birkin e l’esplorazione di Joan Didion, fino alla regina dell’indie sleaze per eccellenza, Alexa Chung. Da qualche mese a questa parte, sui social sempre più utenti mostrano outfit semplici composti da jeans, camicie e ballerine, che non sono però indossati “senza stile”, bensì con l’intento di richiamare proprio questi riferimenti di semi-nicchia.
Il termine norm-core però non è così nuovo, era stato coniato una decina di anni fa e, come descritto da un entry su Urban Dictionary datata 31 marzo 2014, definisce l’idea di «decostruire la moda» attraverso un’estetica volutamente neutra. Da allora, tanto è cambiato ma, paradossalmente, oggi alcune dinamiche stanno riportando quel concetto al centro della scena. Parte di questa nuova ondata si lega alle ansie condivise da una generazione che, sempre più spesso, deve esibirsi online ed è immersa in un Web2 iper-individualista: un contesto che ha finito per generare una certa piattezza stilistica. Al di là del normale ciclo dei trend, c’è però un ulteriore fattore: la latente sorveglianza dei social media già nei primi anni Dieci, che ha spinto molti a vestirsi con look disadorni e per nulla vistosi. Di certo, non è detto che tutto ciò dipenda da un collettivo attacco di paranoia. In un’epoca segnata da instabilità, uso massiccio dell’intelligenza artificiale per il controllo e un ritorno di certe derive estreme, il desiderio di non dare troppo nell’occhio ha un suo perché. Alla fine, il normcore di oggi, proprio come la sua prima incarnazione, potrebbe rivelarsi il modo più semplice — e meno appariscente — per sopravvivere all’ennesima mutazione dell’universo moda.