E se l’AI diventasse il nostro personal shopper?
Tutte le problematicità di una tecnologia che potrebbe rivoluzionare il retail
10 Gennaio 2025
Nel futuro, l’avvento delle AI nella vita quotidiana dei cittadini di tutto (o quasi) il mondo potrebbe essere ricordata come una terza rivoluzione industriale. L'intelligenza artificiale ha già iniziato a trasformare la nostra vita quotidiana, dalle auto a guida autonoma alle mille applicazioni di ChatGPT. Ma adesso la nuova tecnologia sta per rivoluzionare il mondo dello shopping, con l'emergere di personal shopper AI che selezionano, suggeriscono e presentano i prodotti ai clienti finali. Come racconta BoF, queste AI sono progettate per ottimizzare l’esperienza di shopping, rendendola più “efficiente” sia per i clienti che per i retailer e di occuparsi sia di ricerca degli stili che del confronto tra prodotti e fasce di prezzo diverse e persino del check-out al momento del pagamento. Volendo immaginare un servizio del genere online, il personal shopper AI potrebbe eliminare il problema delle noiose ricerche su siti come SSENSE o Farfetch, in cui si deve scorrere fra centinaia e centinaia di pagine, liste infinite di brand e filtri di ricerca efficaci ma non veramente specifici. Il tutto con la facilità e l’intuitività del dialogo: si chiede all’AI cosa stiamo cercando, lo stile, il budget e via dicendo e sarà l’assistente a occuparsi di raggruppare tutto in un singola lista. In negozio, lo stesso meccanismo aiuterebbe invece il venditore fisico aggiornandolo in tempo reale su disponibilità e inventari oltre che sui pattern di spesa di un certo cliente. Certo, rimane il dubbio sulla loro parzialità, dato che nessuno può garantire sia all’utente finale che il servizio non finisca per proporgli prodotti sponsorizzati – l’autonomia della scelta è il prezzo da pagare per l’automazione del processo. Nulla inoltre garantisce a brand e retailer che una certa AI non venga usata per cercare dupe economici dei propri prodotti, aiutando di fatto la concorrenza. Ma siamo davvero pronti ad affidare il nostro shopping a un algoritmo?
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La crescente domanda di assistenza AI nello shopping è evidente: un report di Salesforce citato da BoF ha rilevato che le vendite online delle festività negli Stati Uniti sono aumentate di quasi il 4% nel 2022, in parte grazie all'uso crescente di chatbot alimentati da AI che offrono un supporto clienti semplice ed efficace in grado di orientarli verso i prodotti desiderati attraverso raccomandazioni personalizzate. In un altro report sempre di Salesforce si legge: «I retailer puntano molto sul futuro dell'intelligenza artificiale (AI), con il 92% che investe in questa tecnologia. L'utilizzo dell'AI nel retail non è una novità: il 59% dei retailer la utilizza per aiutare i dipendenti dei negozi a consigliare i prodotti, mentre il 55% utilizza gli assistenti digitali per aiutare gli acquirenti online». Si prevede che questa tendenza accelererà: secondo i consulenti di Gartner, entro il 2027 oltre la metà dei consumatori utilizzerà regolarmente personal shopper AI per prendere decisioni di acquisto. Stando invece a un report della società di sviluppo canadese Springs, il 40% degli utenti utilizza già chatbot per navigare attraverso gli inventari, strumenti che consentono alle aziende di migliorare le vendite del 67% e di aumentare i profitti in media del 20-40%.
Una delle aziende più rilevanti nel nuovo settore è Perplexity, che lo scorso novembre ha introdotto una nuova funzione che consente agli utenti di richiedere direttamente raccomandazioni sui prodotti dall’AI basate però su post di blog, video, recensioni di esperti e post sui social media evitando invece link sponsorizzati e altri contenuti “guidati”. Con la versione Pro si può persino completare l'acquisto direttamente sulla piattaforma e, con il tempo, imparare anche i gusti del singolo utente. Già lo scorso marzo invece, in Arabia Saudita, Shahad Geoffrey e la sua società Taffi hanno introdotto Amira, una stylist alimentata dall’AI generativa pensata per le esigenze del mercato mediorientale. A differenza di molti sistemi AI costruiti con estetiche occidentali, Amira comprende le sfumature della moda nella regione del Golfo ed è stata addestrata per consigliare abbigliamento in base sia all'inventario locale che alle preferenze culturali. Ad esempio, evita di suggerire abiti che potrebbero essere inappropriati o culturalmente irrilevanti per il pubblico locale. Le implicazioni di un’AI capace di dialogare con i clienti in base alle esigenze culturali di uno specifico mercato sono enormi dato che idealmente, gli assistenti AI possono comunque fare molto di più: gestire inventari interi, dare approfondimenti sul comportamento dei consumatori, sui trend dei social media e anche analizzare i pattern relativi al singolo utente aumentando la probabilità di conversione, suggerire prodotti in base alla domanda riducendo così il rischio di sovrapproduzione o mancanza di scorte.
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Non di meno, non bisogna pensare che queste AI siano perfette. La fallibilità è il prezzo da pagare per la complessità e infatti gran parte delle AI di cui abbiamo parlato, inclusa quella di Perplexity, si basa su modelli di linguaggio che non possono comprendere il contesto della realtà come lo fanno gli esseri umani e dunque operano secondo schemi di probabilità che si prestano a errori o informazioni insensate o inventate definite in gergo tecnico “allucinazioni”. Sul metodo di ricerca, stranamente, ancora si sa poco. «Per essere onesti, tutti questi aspetti devono ancora essere compresi appieno, in termini di funzionamento della classifica [e del motivo per cui] l'IA preferisce classificare uno rispetto all'altro», ha spiegato Aravind Srinivas, CEO di Perplexity, a Fortune lo scorso novembre. «È il numero di recensioni? È la valutazione esatta e la provenienza delle classifiche, come ad esempio ciò che le persone dicono su diverse piattaforme riguardo al loro prodotto? C'è un sacco di distillazione e condensazione in corso. Credo che oggi noi stessi non lo comprendiamo appieno». Inoltre, questi sistemi funzionano solo in base ai dati a cui hanno accesso, il che diventa un problema nel caso di inventari non aggiornati o anche a cui l’AI non ha accesso - insomma il motore di ricerca è comunque meno universale di quanto le ambizioni di un mega-sistema di ricerca esteso all’intero Internet richiederebbe. Questo e il sospetto di una scelta “pilotata” rappresentano forse i più ardui ostacoli che i nuovi personal shopper si trovano a dover superare.
Nonostante queste complessità, alcune aziende stanno comunque introducendo l’assistenza AI su scala ridotta. A settembre per esempio The Guardian raccontava che Marks & Spencer (M&S) utilizza l'AI per offrire consigli di stile personalizzati in base alla forma del corpo e alle preferenze personali dei clienti. Analizzando i dati dei clienti che hanno completato un quiz online, l’intelligenza artificiale di M&S può suggerire outfit da un'ampia gamma di opzioni, rendendo lo shopping personalizzato più accessibile. Secondo il giornale, il sistema sta aiutando M&S a stimolare le vendite online di abbigliamento e aumentare il coinvolgimento dei clienti. A ottobre invece è toccato a Who What Wear presentare la sua nuova assistente ISA (acronimo di Intelligent Shopping Assistant) che si presenta sotto forma di chatbot in grado di aiutare i clienti a trovare il prodotto che cercano. Altri esempi di assistenti AI già esistenti sono il Virtual Artist di Sephora, Rufus di Amazon, lo ShopBot di eBay e il Room Planner di IKEA – senza menzionare il chatbot di H&M in funzione dal 2022. Nel campo della moda, Burberry e Tommy Hilfiger ne avevano introdotto uno già nel 2016 attraverso Facebook Messenger ma non in forma continuativa – negli stessi anni qualcosa di simile era accaduto anche con Audemars-Piguet e Jaeger-LeCoultre ma le iniziative non parvero aver seguito anche se oggi è certo che molti retailer e anche molti brand potrebbero essere interessati a possedere un simile chatbot sul proprio sito.
Secondo il chief business officer di Perplexity, Dmitry Shevelenko, le possibilità dei personal shopper AI sono immense e presto potrebbero rispondere esattamente alla domanda dei consumatori in base a una combinazione della loro storia degli acquisti, del loro comportamento di navigazione e della loro attività sui social media – posto che questa integrazione porrebbe degli interrogativi sulla privacy e sull’uso dei dati personali. E anche se molti preferiscono ancora l'esperienza fisica di fare acquisti di persona (sicuramente l’acquisto in negozio rimane un must del mondo del lusso come dimostrano i casi di Chanel ed Hermès) l’integrazione di sistemi AI potrebbe seriamente eliminare molti degli aspetti più frustranti del fare shopping - specialmente considerato come, già oggi, nelle boutique di moda i commessi “umani” svolgono molto del loro lavoro su un tablet per consultare le disponibilità di inventario integrando di fatto la tecnologia con l’approccio umano. Sul piano del retail fisico, comunque, bisognerà capire come integrare tali sistemi. L’anno scorso Zegna ha introdotto con molto successo il tool digitale Zegna X, un sistema integrato e trasversale basato sulle AI che non solo permette al cliente di scegliere e trovare i propri modelli, selezionandone tessuti e colori, permettendogli di visualizzare l’outfit completo nei minimi dettagli, ma dà anche agli style advisor del brand e al suo direttore artistico accesso diretto a ogni informazione su ogni vendita di ogni cliente, con la possibilità di raffinare, perfezionare e ottimizzare l’offerta. Sul piano digitale, però, l'adozione diffusa dei personal shopper AI richiederà di guadagnarsi la fiducia dei clienti e dimostrare che possono realmente migliorare lo shopping - specialmente in un momento in cui i canali i canali online sono usati per cercare il migliore sconto attraverso diversi retailer come fa Lyst. Ma sveltire il procedimento di acquisto di un certo prodotto aiuterà davvero a risollevare vendite in calo? O ci servirà solo a trovare il prodotto che vogliamo al prezzo più conveniente?