L’ascesa della boutique di moda di seconda mano
Fenomeni nemmeno troppo recenti, che però si stanno sviluppando ovunque
08 Gennaio 2025
Un tempo esistevano i negozi di vintage. Grandi o piccoli che fossero, erano di norma pieni di vestiti disposti disordinatamente, inevitabilmente caotici, densi di quell’odore caratteristico misto di polvere, chiuso e umidità che li rendeva poco amati dai compratori più snob. Se si era fortunati, però, nella successione infinita di relle e tra i cumuli di maglioni poteva sbucare un abito firmato a un prezzo stracciatissimo – ma era una cosa che capitava poco. Fast forward a oggi. Se i negozi di vintage esistono e sono in ottimo stato di salute, durante la crescita esponenziale del mercato secondario della moda è emerso un nuovo cliente: cerca solo determinati brand o determinati stili, è disposto a pagare anche cifre elevate, è attivo su diverse piattaforme digitali di second-hand e dunque possiede ampia scelta oltre che consapevolezza del mercato e, infine, è abbastanza esigente e non ama scavare tra pile di maleodoranti anonimi stracci per cercare un singolo pezzo. È così che è nato un nuovo genere di negozio: la boutique di moda di seconda mano. Chi ci va sa che troverà solo brand di lusso o comunque ben riconosciuti, sa che potrà vederli appesi su relle forse ricolme ma ben ordinate e, soprattutto, che potrà toccare tutto con mano, senza doversi affidare alle sole foto online. Se a Milano format del genere sono ormai storici, pensiamo a Madame Pauline e a Cavalli e Nastri, ma anche al più pop Bivio; anche negli Stati Uniti, i negozi dedicati alla moda second-hand come Crossroads Trading e Buffalo Exchange stanno vivendo un periodo di grande prosperità, come spiega BoF, riuscendo a rivaleggiare con l’onnipresente e-commerce.
Crossroads Trading, che ha oltre tre decenni di attività e 39 negozi sparsi per gli Stati Uniti, possiede una formula più ibrida con prodotti firmati e altri semplicemente vintage ma con una policy di acquisto che riguarda solo oggetti appetibili per i clienti di oggi. Elemento particolare: questa catena di negozi è ovviamente sui social ma non possiede e-commerce e, anzi, ha programmaticamente deciso di rimanere offline. La cosa è interessante perché molti outlet di lusso o comunque negozi di rivendita italiani si sono dotati di un e-commerce che però è solo una debole appendice di ciò che si può trovare nel negozio fisico che rimane il centro dell’esperienza. Sempre su BoF, è riportato che, negli USA, l’Associazione Nazionale dei Professionisti del Resale ha stimato una crescita del 7% nel numero di negozi di resale e conto vendita negli ultimi due anni, segno di un interesse sempre maggiore verso questo mercato. Anche i giganti del resale online, come The RealReal, hanno riconosciuto il potenziale dei negozi fisici. Rati Levesque, presidente e amministratore delegato della piattaforma, ha dichiarato che l’apertura di nuovi punti vendita rappresenta una priorità strategica per attrarre più clienti e venditori. Insomma, se il vantaggio primario della moda second-hand sono ovviamente i prezzi accessibili, il prossimo passo del business potrebbe essere proprio uscire dagli smartphone e tornare nelle strade. In questo caso, a quello dell’accessibilità si aggiunge il discorso dell’immediatezza dell’acquisto, come anche la possibilità di provare gli abiti, di trovarne di nuovi e ovviamente di recarsi in una destinazione come attività sociale vera e propria.
Un altro aspetto riguarda la possibile “specializzazione” del negozio. Sono famosi nell’ambiente della moda negozi come AMORE Tokyo e What Goes Around Comes Around, rispettivamente in Giappone e a New York, specializzati in borse second-hand di Louis Vuitton o Hermès; The Archivist Store a Parigi e Herr Judit a Stoccolma, dove invece si trovano perle normcore anni ’90 e dei primi 2000 con un’infusione di gorpcore; Rosier 41 ad Anversa che si occupa di designer locali ed emergenti o OTOO a Londra, dove invece si trova l’haute couture - solo su appuntamento privato. Ma ovviamente posso esistere specializzazioni meno esclusive: pensiamo a negozi come Napoleone Vintage a Milano e la catena Wasteland a Los Angeles, punto di riferimento per i jeans; a Moon Indigo ad Amsterdam che si dedica solo a capi americani e via dicendo. Dalla loro diffusione, dalla loro crescente fama e soprattutto dal loro graduale evolversi in destinazioni di shopping per le persone in-the-know pare di intendere che il grande movimento della moda second-hand, alimentato tra l’altro dal grande surplus di abiti determinato proprio dai brand del mercato primario, stia insomma per uscire dal mondo digitale e invadere gli spazi di un retail fisico sempre più diviso tra mega-boutique della moda e mega-negozi del fast fashion. E se clienti di grido come Kim Kardashian e Ariana Grande (o almeno i loro stylist) hanno già iniziato a frequentare i negozi del ‘vintage elevato’, è probabile che intere schiere di giovani inizieranno a fare le proprie ricerche in numeri sempre maggiori.