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Il capitalismo distruggerà Kapital?

La nuova acquisizione ha spinto molti a chiedersi se LVMH sia un salvatore un conquistatore

Il capitalismo distruggerà Kapital? La nuova acquisizione ha spinto molti a chiedersi se LVMH sia un salvatore  un conquistatore

Il 2024 si è chiuso con una notizia che molti appassionati di moda indie, e nello specifico moda indie giapponese, non hanno precisamente amato: il cult brand Kapital è entrato nell’orbita di LVMH attraverso l’acquisizione di una quota di maggioranza del brand da parte di L Catterton, il fondo di private equity attraverso cui LVMH investe in brand di moda indipendente. La notizia ha colpito dato che Kapital rappresenta un baluardo della moda indie e alternativa, legato a una precisa estetica oltre che a un’etica di produzione assai rigorosa. E in effetti nel corso dei decenni, Kapital ha costruito un seguito di culto grazie ai suoi dettagli intricati, le tecniche di tintura innovative e un approccio alla moda sempre unico e distante dai trend. Ma proprio l’anno scorso, la scomparsa del founder Toshikiyo Hirata, avvenuta nell’aprile del 2024, ha segnato un momento cruciale per il brand dato che suo figlio, Kazuhiro Hirata, direttore creativo del brand da diversi anni, ha preso le redini dell’attività di famiglia che oltre al brand, diffuso globalmente, include 10 negozi in Giappone, un e-commerce, quattro fabbriche di denim e un impianto di tintura. Ora, grazie al supporto di L Catterton, Kapital dovrebbe ampliare la propria rete di vendita al di fuori del Giappone e accedere ai mercati internazionali, entrando tra i 275 brand (non solo di moda) nel portfolio di L Catterton in cui figurano anche Birkenstock, Gentle Monster, Etro, Ganni e A.P.C. Non di meno, tra gli investimenti di L Catterton e le acquisizizoni di LVMH Ventures, il gruppo di Arnault ha preso gusto nel collezionare brand indipendenti di culto: a novembre c’è stato il caso di Our Legacy mentre a dicembre c’è stato il brand norvegese Db Bags e settembre Polène; tre anni fa ci fu quello di Aimè Leon Dore mentre nel 2019 era toccato a Gabriela Hearst e Madhappy. Secondo molti, però, queste acquisizioni non sono altro che patti faustiani che finiscono per rovinare i brand – ma è così?

È verissimo che i brand indipendenti hanno bisogno di finanziamento per crescere – specialmente in un anno in cui la crisi ha colpito abbastanza duramente il settore. E dunque c’è da attendersi che, con l’ingresso di L Catterton, Kapital potrà raggiungere un pubblico sempre più ampio con l’infusione di capitali freschi e innovazioni nella produzione e nel marketing. Ma a che prezzo? Un utente di Twitter ha efficacemente riassunto la questione così: «LVMH alzerà i prezzi di Kapital e abbasserà la qualità», esprimendo un po’ la generale preoccupazione di cosa accadrà ora a un brand che, per eccentrico che fosse, aveva da sempre mantenuto un integerrimo attaccamento alla qualità e ai propri processi artigianali. È il classico caso di business indipendente che cade nelle mani della grande multinazionale – un moderno archetipo del commercio che anche nel caso dell’acquisizione di una quota di minoranza in Our Legacy da parte di LVMH Luxury Ventures aveva spinto il co-founder  Jockum Hallin a uscire con diverse interviste (almeno due, su Highsnobiety e GQ) per comunicare ai fan, o piuttosto rassicurarli, che «continueremo a gestire Our Legacy come abbiamo fatto finora, solo con una cassetta degli attrezzi leggermente più grande». Insomma, forse è vero che il playbook di Arnault è quello di ridurre i costi per aumentare i profitti netti e poi investire in modo deciso nella comunicazione per stimolare la crescita dei ricavi, ma è anche vero che, nelle sue varie funzioni, L Catterton o LVMH non gestiscono direttamente i brand che acquisiscono ma forniscono capitali e “pressione” verso la crescita. Altro punto importantissimo: nella stessa intervista Hallin ha specificato in modo molto esplicito che l’ingresso dei nuovi capitali non avrebbe comportato un aumento dei prezzi

Ora, se nel caso di Our Legacy, ad esempio, il co-founder ha tenuto a comunicare all’intera community del brand che nulla sarebbe cambiato e che il brand era stato finanziato, sì, ma non svenduto è stato perché il sentimento generale che anima molti fan della moda indipendente di fronte a queste notizie è che la moda diventi, banalmente, sempre meno indipendente – ergo commercializzata, votata più al profitto che all’autenticità e alla soddisfazione della propria comunità che, a sua volta, si trasforma in salutari vendite e crescite ancora più salutari. Nel caso di Kapital, ad esempio, il timore generale riscontrabile tra forum e post online è che il brand si riduca a essere un produttore di cappellini e t-shirt, che si vada a battere su prodotti best-seller e Instagram-friendly piuttosto che su nuovi modelli o comunque che si perda quell’approccio che aveva fatto del denim giapponese un’eccellenza mondiale ma anche che si vada tagliando angoli nei costi di produzione facendo perdere al brand la sua originaria vocazione di eccellenza senza pari che è poi la cosa su cui i suoi fan fanno affidamento, la pietra angolare del suo successo. Certo non è per forza detto che tutto sia perduto: il celebre brand di jeans Momotaro venne acquisito da Japan Blue Group tre anni fa e un soft rebranding c’è stato ma le opinioni online su materiali e qualità rimangono ancora solide. Dopotutto sarebbe un cattivo investimento, da parte di qualunque nuovo proprietario, aggiustare qualcosa che non è rotto. A qualunque domanda, comunque, specialmente sulle nuove collezioni e sulla qualità di Kapital, il tempo darà adeguata risposta – dopo tutto cavallo che vince non si cambia.