La collezione FW25 di Valentino parla da sola
Alessandro Michele fa fuoco su tutti i cilindri
12 Dicembre 2024
È curioso che un direttore creativo loquace e filosofo come Alessandro Michele non abbia accompagnato la sua ultima collezione FW25 di Valentino dalla minima nota o riga scritta. Dopo tutto, era lui che ci aveva abituato alla figura di un designer che ricama tanto su questioni di semiotica che sugli abiti che presenta. Eppure quest’ultima collezione, arrivata sotto forma di lookbook-fiume, non possedeva alcun messaggio – lasciandoci intendere che Michele abbia pensato che i look sappiano benissimo parlare da sé. In effetti lo fanno: è in qualche modo piacevole che il designer abbia abbandonato degli sforzi retorici la cui spesso intensa sostenutezza appesantisce look già in se stessi sovraccarichi di dettagli. In questa stagione, dunque, il vortice di barocchismo non si è interrotto ma se volessimo andare a cercare una nota di cambiamento rispetto alle due precedenti collezioni firmate da Michele potremmo forse trovare da un lato dei momenti di liberatoria eccentricità rappresentati dai molti accessori e maxi-ricami figuranti gatti; e dall’altro un occhio più acuto e sottile per la portabilità dei prodotti: scarpe, borse e occhiali principalmente, ma anche una buona dose di jeans e blazer, di t-shirt logate e stampe a tema vegetale abilmente dissimulati in un profluvio di bluse vittoriane, mantelli e giacche più ricamate di quelle del sultano del Brunei.
La nuova collezione ha tutta l’aria di una dichiarazione: Michele crede nella sua formula con una fede tanto assoluta da rendere la formula stessa credibile per gli altri. Il mondo che evoca, senza dubbio, possiede una propria suggestione, un tipo di romanticismo fortemente sincretico e innamorato del passato che in fondo ben si sposa con i gusti della frangia più retrò degli amanti del vintage e che, presentata com’è, senza la mediazione o la cornice di una narrativa o di un paratesto, riposa in un letto di auto-evidenza che ci impone di osservarla senza poter trarre da essa un commento o un’angolazione di lettura qualsiasi. Per certi versi, è un meccanismo simile a quello di certa arte giapponese amata dai decadenti e dai simbolisti di fine Ottocento perché nella propria bidimensionalità e decorativismo era in qualche modo ornamento e commento di se stessa, chiusa in una bolla estetica la cui nitida trasparenza ne riflette anche la fondamentale incomunicabilità. Si può, tutt’al più, salutarne con una certa gioia l’estro che a prescindere dal punto di vista che si può avere (nuova anima di uno storico brand o eterno ritorno dell’uguale e dell’auto-referenziale?) rappresenta una rottura dalla poco sentita, a volte esangue, a volte asciutta creatività che si vede sulle passerelle di oggi – tutte prone di fronte all’idea di guardaroba quotidiano, di utility e tutte emule dell’archetipo del workwear.
E avendo stabilito che Michele lavora in termini di espansione e accumulo piuttosto che di evoluzione lineare, scorrere i look di questa opulentissima collezione, grondante di minuziosi dettagli, straripante di preziosismi ci fa chiedere cosa bisognerà aspettarsi dal debutto di Michele nella Haute Couture. A ogni buon conto il direttore creativo sta lavorando a qualcosa di grandioso - ma come farà a superare in estro un ready-to-wear già così iperbolico? Rimaniamo in speranzosa attesa consapevoli che, dato il panorama della moda di oggi, un Alessandro Michele è meglio averlo che non averlo. Rimane però il dubbio di cosa voglia costruire il designer con il CEO Venturini e con il titanico apparato del brand stesso: un nuovo mondo o una cattedrale nel deserto?