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Perché Bernard Arnault è stato convocato in tribunale in Francia?

C’entrano un ex-capo dei servizi segreti e delle pratiche di monitoraggio non proprio limpide

Perché Bernard Arnault è stato convocato in tribunale in Francia? C’entrano un ex-capo dei servizi segreti e delle pratiche di monitoraggio non proprio limpide

Bernard Arnault è recentemente comparso in un tribunale di Parigi come testimone in un processo di alto profilo noto in Francia con il nome di “affaire Squarcini”. Il caso riguarda appunto Bernard Squarcini, ex capo dell’intelligence interna francese, accusato di aver abusato delle sue connessioni governative dopo essere passato al settore privato diventando consulente per la sicurezza di LVMH nel 2013. Come spiega il Financial Times, L’uomo è stato accusato di traffico di influenze, uso improprio di fondi pubblici e sorveglianza illegale. Gli investigatori sostengono che, durante il suo incarico sia nell’agenzia di intelligence sia da LVMH, Squarcini abbia utilizzato i suoi contatti per spiare attivisti di sinistra, incluso François Ruffin, giornalista diventato politico, che aveva criticato LVMH nel suo documentario satirico Merci Patron! del 2016 che parlava delle difficoltà dei lavoratori colpiti dalla chiusura di una fabbrica fornitrice di LVMH e che poi vinse anche un premio César, infiltrandosi nella rete di attivisti di Ruffin, reclutando informatori e cercando di ottenere una copia del documentario prima della sua uscita pubblica. Anche la pubblicazione di sinistra Fakir, gestita sempre da Ruffin, sarebbe stata posta sotto sorveglianza, con il sospetto che LVMH cercasse di neutralizzare delle proteste che avrebbero dovuto tenersi durante una delle assemblee degli azionisti del gruppo.

Arnault comunque ha negato di essere a conoscenza delle attività contestate. Ha dichiarato che Pierre Godé, suo fidato vice scomparso nel 2018 e responsabile dell’assunzione di Squarcini, non lo aveva informato delle azioni che ora sono al centro del processo. Arnault ha sottolineato che LVMH si attiene a standard legali ed etici in tutte le sue operazioni e insomma si è dissociato dalle accuse, affermando che eventuali attività discutibili sarebbero state eseguite senza la sua conoscenza. Arnault ha anche respinto le insinuazioni secondo cui lui o l’azienda avessero preso di mira Ruffin personalmente, sebbene abbia criticato le motivazioni dell’attivista, accusandolo di sfruttare il processo per fini politici e mediatici. Il magnate ha anche detto di avere visto il documentario di Ruffin, e lo ha definito «molto divertente». Al di là dell’estreaneità di Arnault ai fatti, il processo è interessante perché ha in sostanza messo in luce il fatto che alcune tattiche di intelligence statale possono essere usate da grandi aziende per scopi privati. Il processo ha anche indirettamente rilevato l’importanza degli attivisti e dei whistleblower nel vigilare sull’operato di multinazionali sempre più potenti e connesse col mondo della politica e dei media. 

@_agora__ François Ruffin !! #ruffin son original - AgOrA

Non è la prima volta che Bernard Squarcini causa mal di testa a LVMH. Nel 2021, infatti, il colosso del lusso ha accettato di pagare 10 milioni di euro per chiudere un’indagine che coinvolgeva proprio l’ex capo dell’intelligence francese, sempre accusato di aver utilizzato le sue conoscenze per spiare François Ruffin. L’accordo, approvato da un giudice parigino, mise fine a molteplici indagini penali legate al periodo in cui Squarcini collaborava con LVMH, dove ufficialmente si occupava di lotta alla contraffazione, prevenzione dello spionaggio industriale e gestione delle crisi. Allora, i procuratori accusarono Squarcini di aver sfruttato il suo ampio network di contatti nell’ambito giudiziario, legale e di polizia per interessi privati, commettendo reati come traffico di influenze e violazione della privacy tra le altre accuse. Un altro caso controverso risale al 2013, quando Squarcini avrebbe cercato di ottenere informazioni confidenziali su un’indagine giudiziaria riguardante il tentativo di LVMH di acquisire una partecipazione in Hermès

Pur negando ogni illecito, LVMH accettò di risolvere l’indagine con il pagamento di una multa, senza ammettere responsabilità - una scelta pragmatica per evitare un processo lungo e dannoso per la reputazione del gruppo. Ruffin ai tempi criticò l’accordo, sostenendo che la somma fosse minuscola rispetto alle entrate annuali di LVMH, che si calcolano nell’ordine dei miliardi, criticando anche l’influenza delle multinazionali sul sistema giudiziario. Il caso accese un dibattito in Francia sull’efficacia degli accordi di interesse pubblico introdotti con la legge anti-corruzione Sapin II nel 2016, che consentono alle aziende di risolvere controversie legali attraverso multe da pagare - accordi considerati da alcuni un modo per velocizzare procedimenti complessi e generare entrate per lo Stato, e da altri come una specie di compravendita dell’immunità. Sebbene il colosso del lusso si sia impegnato a rafforzare le sue politiche di compliance, il caso è destinato a far discutere sulle conseguenze di affidarsi a pratiche poco chiare per proteggere gli interessi aziendali.