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Bisogna smettere di chiedere ai creativi di lavorare gratis

Una nuova inchiesta inglese rivela il lato oscuro della moda inglese (e non solo)

Bisogna smettere di chiedere ai creativi di lavorare gratis Una nuova inchiesta inglese rivela il lato oscuro della moda inglese (e non solo)

Nella moda, come nel mondo delle arti, arrivare a guadagnare abbastanza per sopravvivere è uno dei più grandi ostacoli di carriera. Mentre per gli executive e la dirigenza dei principali brand di lusso il bottino è pressoché assicurato, per i creativi, per i designer emergenti e per i piccoli imprenditori (ma spesso anche per i sarti degli uffici stile delle grandi maison) non è detto che lo stipendio basti, soprattutto nel caso di chi, per lavorare nella moda, deve vivere in una città costosa come Londra. Sebbene nella capitale inglese come in tutte gli altri grandi poli della moda le difficoltà economiche che devono affrontare i giovani creativi siano considerate parte del gioco - la famosa “gavetta” - nuovi studi rivelano che la situazione è ben più tragica di quanto venga raccontato da chi, quella famosa gavetta, in verità non l’ha mai fatta. Secondo un’inchiesta di Bectu (il sindacato inglese per le arti e l’intrattenimento), nel Regno Unito otto persone su dieci subiscono pressioni per lavorare gratis; inoltre, su 500 intervistati, il 59% afferma che il lavoro ha avuto un impatto negativo sulle loro relazioni personali, mentre sette individui su dieci dicono di aver avuto difficoltà a proteggere la propria salute mentale nell’ultimo anno. Solo il 14% degli intervistati dice di venire pagato in tempo. 

Oltre il divertimento degli after-party e le immagini glamour, la moda è molto più dell’immagine che filtra sui social media: oltre i sipari delle passerelle ci sono assistenti sottopagati e stylist costrette a lavorare non-stop. «Sono ancora stupito dai livelli di tossicità di questa industria», ha affermato un senior fashion designer intervistato da Bectu, mentre un assistente freelance ha riportato: «Mi sono state lanciate scarpe, mi è stato detto che alcune spese sarebbero state coperte e poi il cliente si è rifiutato di pagarle. Ho lavorato 16 ore al giorno durante la settimana della moda di Londra per appena 100 sterline». Per l’83% delle persone che sono state ascoltate dal sindacato, alcuni dei comportamenti che vengono riservati ai creativi verrebbero considerati inappropriati pubblicamente, ma nella moda vengono tollerati proprio perché sono diventati la normalità. In più, solo il 10% afferma di sentirsi sicuri del proprio lavoro. 

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«I problemi emersi dal nostro sondaggio dovrebbero far suonare un campanello d'allarme per il settore, con molti creativi della moda che ci hanno detto che non si vedono nel settore tra cinque anni», affermato la direttrice di Bectu, Philippa Childs. Ma i risultati dello studio del sindacato inglese non dovrebbero mettere in guardia solo il Regno Unito, poiché problemi come la misera paga, gli orari di lavoro esagerati e i trattamenti svilenti non riguardano solo i giovani creativi di Londra, bensì i talenti di tutte le principali città di moda, da New York a Parigi passando ovviamente per Milano. Non serve un sondaggio per scoprire cosa avviene a porte chiuse nella fashion industry: basta parlare con chiunque abbia mai lavorato nel settore per capire perché in così tanti vogliono abbandonarlo. Malgrado il suo ampio contributo all’economia dei Paesi coinvolti - nel 2022, il la vendita di abbigliamento nel Regno Unito ha portato a un fatturato  totale di 58,5 miliardi di sterline, mentre in Italia, nel 2023, la fashion industry ha accumulato un bottino di 111,7 miliardi di euro - la moda continua a trascurare le persone che lavorano per lei. E così, gli stessi che fino a poco prima sognavano di far parte di quel mondo adesso lo odiano.