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La pelliccia va di moda ma nessuno la compra nuova

È sempre meglio chiedere alla nonna

La pelliccia va di moda ma nessuno la compra nuova  È sempre meglio chiedere alla nonna

Durante lo scorso inverno il mondo della moda ha dato il benvenuto al ritorno della pelliccia, un look che su TikTok prende il nome di mob wife aesthetic. Se però il fascino di un cappotto morbido e caldo risulta ancora irresistibile tra gli appassionati di stile, nel 2024 indossare pelle di animale non è esattamente motivo di vanto, specialmente per gli ambientalisti. Nonostante questo, la pelliccia ha cominciato ad attirare l’attenzione persino degli uomini, finendo in passerella sia durante la Fashion Week femminile che maschile, da Diesel a Marni. A contribuire alla rivincita della pelliccia ci si sono messi altri trend, come il quiet luxury e l’animalier, due grandi classici che hanno riportato in voga articoli e silhouette appartenenti a epoche passate. Ma se la passione dei consumatori per il vintage è ai vertici più alti di sempre, lo stesso non si può dire per l’abbigliamento che sembra di seconda mano ma non lo è: mentre “fur coat” sta registrando il picco di ricerche più alto degli ultimi sette anni (un aumento dell’85% rispetto all’autunno passato, che già aveva raggiunto il +42% rispetto al 2022), il mercato delle pelliccie è in costante declino, essendo sceso secondo Euromonitor International sceso da un valore di $14,7 miliardi nel 2013 a $3,4 miliardi oggi. 

Malgrado sempre più brand stiano portando in passerella pellicce e cappotti afgani, tra cui Miu Miu, Saint Laurent, Bottega Veneta e Loewe, nell’ultimo anno le esportazioni mondiali per il materiale sono scivolate ai minimi più bassi dagli anni 2000. Nonostante l’ascesa del trend “mob wife”, c’è una spiegazione plausibile dietro al rallentamento delle vendite: anni e anni di campagne e di proteste da parte di animalisti e ambientalisti hanno ormai influenzato l’immaginario comune, portando persino alcuni dei principali vertici della fashion industry a rinunciare completamente alla pelliccia. A partire dal 2017, Fashion Week, conglomerati del lusso come Kering, rivenditori multimarca come Selfridges ma anche interi governi, tra cui l’Unione Europea e lo stato della California hanno bandito l’uso della pelliccia - infatti, alcuni dei cappotti che abbiamo visto in passerella erano finti, realizzati in cashmere allo show di Gabriela Hearst e in denim da Diesel. Oltre al giudizio negativo che i consumatori ormai nutrono nei confronti della pelliccia “nuova di pacca”, il crollo del settore è stato intensificato anche dalla guerra in Ucraina e dalla crisi cinese, fenomeni che hanno destabilizzato il mercato di esportazione sia per quanto riguarda la produzione che la vendita. 

Per cercare di risanare il settore, aziende e brand stanno provando a riscrivere l’immagine della pelliccia con iniziative e produzioni sostenibili ponendo l’attenzione sulla qualità e l’artigianato del prodotto, ma anche aggiungendo nuovi standard e certificazioni in grado di accertarsi che la creazione del materiale sia avvenuta in maniera responsabile, come nel caso di Furmark. LVMH, che è uno dei pochi gruppi di lusso che ancora non molla la presa sull’utilizzo della pelliccia nelle collezioni, ed è uno dei principali finanziatori di Furmark - il gruppo paga più di $300mila per un abbonamento annuale, scrive BoF. Finché grandi nomi del sistema come Louis Vuitton e Celine (entrambi facenti parte di LVMH) continueranno a proporre pellicce in passerella, trend come mob wife o winter cowboy continueranno ad affascinare il pubblico. Sempre che i brand poi riescano a vendere i cappotti mandati in passarella, e che designer e CEO siano in grado di non cedere alle proteste di PETA e di altri gruppi di animalisti.