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Per vendere il lusso serve l'empatia

Rallenta lo shopping, crescono le esperienze e il retail si prende una rivincita

Per vendere il lusso serve l'empatia Rallenta lo shopping, crescono le esperienze e il retail si prende una rivincita
Ripetiamo da tempo che la moda è in crisi. Il mercato del lusso globale, secondo i dati rilevati dall'Osservatorio Altagamma 2024, mostra segnali di rallentamento dopo l'impressionante rimbalzo registrato nel periodo post-Covid. È colpa delle tensioni geopolitiche, dei conflitti internazionali, dell'inflazione e della perdita di fiducia da parte dei consumatori nei confronti dei brand se la domanda del lusso sembra essersi congelata, soprattutto in Cina. Ma un trend positivo che emerge chiaramente riguarda il lusso esperienziale, che continua a crescere con un incremento del 5% nel 2024: settori come l'ospitalità, l’alta ristorazione e il benessere sono tra i principali driver di questa crescita e tutte hanno in comune l’importanza del tocco umano. Il messaggio è chiaro: l’empatia vende. La domanda di esperienze esclusive e personalizzate è sempre più centrale nel settore del lusso, e sul piano della moda un ruolo chiave viene giocato dal retail fisico, che nel bel mezzo di questa crisi ha registrato un aumento del 5%. I brand hanno capito già da anni l’importanza di questo canale, dando una forte enfasi su servizi su misura, all’intrattenimento dei clienti con eventi speciali e alle vendite esperienziali che consolidano il legame con consumatori che non vogliono solo indossare abiti lussuosi ma vogliono sentirsi speciali. Oltre che costoso, il lusso deve essere anche qualcosa di intimo, di personale – solo con questo contatto umano si possono separare dei clienti sempre più diffidenti dal loro denaro.
 
@aprilmbuckles Probanly the best customer service I’ve experienced from a luxury brand

Secondo Altagamma, poi, anche il canale digitale, in crescita del 3%, mostra una stretta connessione con il retail fisico, dato che le esperienze online sono spesso supportate dall'interazione diretta nei punti vendita. Ma il tema del lato umano della moda innerva un po’ tutta la sommatoria firmata da Altagamma. Anche nel parlare di una futura crescita dei consumi, il report ne considera tra i necessari presupposti una ripresa dei viaggi, ovvero delle esperienze nel cui contesto si verifica il consumo: l'Europa dovrebbe registrare una crescita del 2%, trainata dal turismo, mentre il Nord America manterrà un ruolo prioritario con una crescita stimata del 3,5%. Per la Cina le cose sono ancora incerte. Al di là di questioni calde come i prezzi, il disincanto dei giovani verso il lusso, il luxury shame cinese e i molti problemi che il Made in Italy dovrà affrontare col prossimo sorgere del protezionismo internazionale, Claudia D'Arpizio e Federica Levato di Bain & Company hanno evidenziato come la capacità di offrire esperienze eccellenti e investire sulla creatività sarà cruciale per riconquistare la fiducia dei consumatori, in particolare i più giovani.  Il lusso esperienziale, quindi, rappresenta una delle leve principali per il futuro del mercato: se l’idea di smuovere enormi volumi di merce attraverso una selva di piattaforme e-commerce è colata a picco insieme a Farfetch, è diventato chiaro che servono le persone per vendere le cose. Anche nel suo intervento durante la conferenza, il CEO del Gruppo Prada Andrea Guerra ha indicato nella sua visione per il futuro del lusso l’idea di «far innamorare i consumatori» e di raccontare «una storia e determinati valori», tutte azioni che presuppongono un elemento umano ed emotivo, comunicabile principalmente di persona.
 

Lo stesso sentimento è stato riecheggiato nell’ultimo report di BoF e McKinsey, The State of Fashion 2025, dove si legge già in apertura: «I brand che non desiderano giocare in queste categorie [resale e off-price, ndr] devono dimostrare ai clienti perché i loro prodotti valgono il prezzo maggiorato. Un modo per raggiungere questo obiettivo è migliorare l'esperienza di acquisto. I consumatori stanno tornando a fare acquisti in negozio a livelli pre-pandemici in gran parte del mondo, ma i rivenditori devono ricordare agli acquirenti cosa amano dell'esperienza in negozio. A cominciare da un personale ben addestrato che sia in grado di assistere e ispirare i clienti». Insomma, cambiano gli scenari economici ma le verità basilari del commercio rimangono le stesse anche se il ruolo dei negozi fisici continua ad evolversi: se prima si andava in negozio a scoprire le novità, oggi il cliente tende a sapere già cosa troverà e dunque il negozio è un più simile alla chiesa dove si celebra il matrimonio che al bar dove si fa il primo date – ci si passi la metafora. Nel negozio il cliente viene fidelizzato, per certi versi schedato e ovviamente trattato con ogni riguardo. Non è un caso se il 54% dei consumatori di abbigliamento preferisce ancora acquistare nei negozi fisici piuttosto che online. Il che ovviamente, in termini di business e operatività, si traduce in una maggiore enfasi da attribuire al settore del servizio clienti: nel report di BoF si legge che il 70% dei clienti di negozi tendono a spendere di più se il servizio è di alta qualità e che un cattivo servizio, magari per scarsa disponibilità del personale o anche per interazioni meno che brillanti, può arrivare a far perdere un buon 20% di vendite. Il che è doppiamente vero per due categorie che in questo momento sono ben lontane dal lusso: i clienti aspirazionali e i giovani. I consumatori aspirazionali sono due volte più propensi a cercare consigli dal personale rispetto ai clienti di fascia media o di valore, mentre i giovani sono 1,5 volte più propensi a farlo rispetto agli over-50.
 
Il dato è anche parecchio rilevante per l’importantissimo mercato cinese, che anche se rallentato rimane di primaria importanza per qualunque brand. Daniel Langer, CEO di Équité, ha scritto questa settimana su Jing Daily che l'esperienza in negozio è il touchpoint più cruciale tra i marchi di lusso e i loro clienti anche se molti brand continuano a sottovalutarne l'importanza. Un recente esercizio di "mystery shopping" condotto da Langer per un marchio di lusso globale ha rivelato che però il supporto al cliente è spesso inadeguato con lo staff di certe boutique che spesso abbandona i potenziali clienti in attesa per molto tempo - anche se per sapere questo non serve andare lontano, basterebbe visitare certe boutique di Montenapoleone di domenica pomeriggio. Ad ogni modo, il concetto di lusso si basa sul mettere il cliente al centro, e ogni fallimento in questo senso compromette l'intera promessa del marchio: attese di un’ora, indisponibilità dei prodotti e mancanza di privacy sono cose che ai ricchi non piacciono e, dopo tutto, per i più abbienti, che si presentano pronti a scialacquare in un pomeriggio l’equivalente del fatturato annuale di una piccola-media impresa, discrezione e intimità sono elementi fondamentali. Secondo Jing Daily, bastano in media 1,7 esperienze deludenti per far sì che un cliente lasci il marchio e, nel retail come nella pesca, un pesce che si libera difficilmente abboccherà all’amo una seconda volta. In breve, per Langer (e non siamo d’accordo) l'esperienza in negozio rappresenta in modo tangibile i valori del marchio.
 
In tal senso, esistono due ordini di problemi per i brand: il primo è l’impiego della tecnologia per ottimizzare il workflow di un negozio in modo tale che il personale possa dedicarsi interamente al cliente; il secondo è rendere il lavoro del venditore desiderabile, facendone un esperto ben pagato e un amico più che una specie di valletto. Ma al di là del dato aridamente operativo, il significato profondo di queste nozioni è che il momento della vendita, che poi è il perno intorno al quale ruota il colossale meccanismo del lusso, è sempre più sfuggente e sempre più fragile, il culmine di una delicata coreografia dove la transazione commerciale dev’essere aiutata dalla psicologia e da un fattore umano che, per definizione, è imprevedibile e difficilmente classificabile. Per i brand, insomma, approfondire ed esplorare meglio il lato umano della moda corrisponde a riconoscere e fronteggiare la propria stessa vulnerabilità in un momento storico che, di fronte al prossimo sorgere del protezionismo economico e della moda nazionalistica, potrebbe essere più delicato che mai.