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La Cina non compra più gioielli europei

Il sino-nazionalismo ha colpito anche i metalli preziosi

 La Cina non compra più gioielli europei Il sino-nazionalismo ha colpito anche i metalli preziosi

Questa mattina sono stati pubblicati i risultati finanziari del Gruppo Richemont da marzo a settembre.  I nuovi dati hanno evidenziato una flessione dell’1% nei ricavi complessivi, un chiaro segnale del calo drastico della domanda nei mercati chiave di Cina, Hong Kong e Macao. Secondo quanto riportato dal gruppo del lusso svizzero, le vendite nella regione hanno subito un tracollo del 27% nei sei mesi conclusi a settembre. Il comparto gioielleria, con marchi di punta come Cartier e Van Cleef & Arpels, si è confermato il pilastro dell’attività di Richemont, segnando una crescita del 2% nonostante la frenata cinese. In netto contrasto, il settore orologiero, che comprende brand prestigiosi come IWC e Jaeger-LeCoultre, ha visto un crollo delle vendite del 17%, anch’esso colpito duramente dal calo della domanda cinese. La contrazione delle vendite in Cina ha neutralizzato la performance positiva in altre aree geografiche, come il Giappone dove Richemont ha registrato un’impennata delle vendite del 42% a tassi di cambio costanti nei mesi da marzo a settembre, mentre nelle Americhe l’incremento è stato dell’11%, superando di 10 punti percentuali i risultati di LVMH nella stessa regione. Anche l’Europa ha mostrato segni di crescita, con un aumento del 4%, mentre il Medio Oriente e l’Africa hanno registrato un incremento dell’11%. Quindi se il tutte le altre regioni Richemont funziona, cosa è successo al mercato cinese?

L’alta gioielleria e l’orologeria rappresentano da sempre un termometro efficace per valutare lo stato di salute del mercato del lusso, soprattutto perché si tratta di settori che si rivolgono a una clientela d’élite, spesso limitata ai veri VIC. Il mercato della gioielleria non solo incarna l’essenza del lusso, ma è anche particolarmente sensibile alle fluttuazioni economiche e alle incertezze geopolitiche. Una contrazione delle vendite in questi settori spesso prelude a una crisi più ampia, indicando cambiamenti nelle priorità dei consumatori ad alto reddito e nei loro comportamenti d’acquisto. I consumatori appartenenti all'1% hanno un ruolo cruciale per il mercato del luxury, essendo gli unici a fidelizzarsi - dati i prezzi elevati - riescono a mantenere i margini dei brand alti. L’analista di Bernstein, Luca Solca, ha descritto le recenti performance della divisione orologiera di Richemont come “materialmente peggiori del previsto”, evidenziando una contrazione molto più severa rispetto a quella che gli esperti si attendevano, fissata all’8,5%. Questo dato fa emergere le difficoltà che anche i grandi gruppo del lusso più consolidati stanno affrontando oggi e fino a che punto la loro crescita dipendesse dai consumi del mercato cinese. Da una parte potrebbe essere il fenomeno di "luxury shame", catalizzatore della crisi del lusso in Cina, ma dall’altra parte nel paese si sta consolidando un trend importante, dove i consumatori stanno orientando sempre di più le loro preferenze verso la gioielleria di lusso locale, allontanandosi dai brand internazionali. 

L'avvento dei brand locali ha le sue radici in un nuovo senso di orgoglio nazionale e in una crescente consapevolezza dell’identità culturale cinese. I consumatori del paese, specialmente le generazioni di Millennials e Gen Z, hanno iniziato a cercare prodotti che non solo rappresentano uno status symbol, ma che raccontano una storia unica e autentica, profondamente radicata nella tradizione e nella cultura locale. Questo fenomeno, oltre ad avere una dimensione di retaggio culturale, potrebbe anche derivare dalle azioni intraprese dal governo cinese negli ultimi dieci anni. Promuovendo fortemente il nazionalismo e il protezionismo, le strette del governo cinese hanno obbligato i brand di alta moda ad adattarsi il più possibile alla cultura cinese per sviluppare un senso di legame con la clientela. Le prese di posizione del partito sono poi state fortemente sentite con l’avvento delle trade-war, che alzando il costo delle importazioni, continuano a scoraggiare i consumatori ad acquistare nei retail ufficiali ma promuovono le zone di duty-free come gli shopping mall dell’isola di Hainan. 

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Allo stesso tempo, brand come Chow Tai Fook e designer emergenti come Wallace Chan e Feng J sono diventati molto popolari nel paese grazie anche alla loro capacità di dialogare con un pubblico che dà sempre maggior valore alla moda come espressione di appartenenza culturale. L’apprezzamento per la gioielleria di lusso locale è amplificato dal modo in cui i brand cinesi stanno riuscendo a coinvolgere il pubblico attraverso il patriottismo e il ritorno alle proprie origini. A differenza dei marchi internazionali che si concentrano principalmente sul prestigio globale e sulla loro lunga storia europea, i brand locali offrono un legame emotivo più diretto, celebrando il proprio retaggio culturale e nazionale e reinterpretando i motivi tradizionali in chiave moderna connettendosi con la ricca cultura del paese. Questa capacità di creare un ponte tra passato e presente è una leva potente in una società che ruota sostanzialmente intorno al concetto di valori nazionali. Inoltre, le piattaforme social cinesi come Xiaohongshu e WeChat giocano un ruolo cruciale nella diffusione di queste tendenze. La visibilità data ai designer e ai brand locali su questi canali amplifica l’interesse per gioielli che combinano design innovativo e materiali alternativi, contribuendo a consolidare una community di consumatori informati e appassionati. Sui social è estremamente palpabile il successo della gioielleria di nicchia cinese, che registra milioni di visualizzazioni sulle piattaforme locali, insieme alla hashtag #MadeInChina. E con il Made in Italy che continua a sprofondare, possiamo iniziare a chiederci se viviamo in un universo parallelo.