Come CNMI spera di salvare il Made in Italy
Un nuovo disegno di legge per risanare il settore
01 Novembre 2024
Il 2024 verrà ricordato come un anno difficile per il Made in Italy. Messa in ginocchio dalla crisi del lusso che ha colpito l’intero settore, la moda italiana negli ultimi mesi ha dovuto fare i conti con tutti i problemi che fino a poco prima aveva nascosto sotto un grande tappeto. Come in ogni vero decadimento, sono stati molteplici i fattori che hanno contribuito alla crisi della filiera italiana. Tra questi l’espansione del fast fashion, che sta facendo sentire il proprio dominio su tutto il continente europeo (Shein si sta preparando al debutto in Borsa a Londra) e l’inflazione globale, che ha dato vita a fenomeni culturali come il “luxury shame” in Cina. O ancora i conflitti in Medio Oriente, che stanno impattando gravemente le supply chain di tutto il Pianeta, e i recenti scandali legati alla manifattura italiana, che hanno messo in dubbio il vero valore dell’etichetta “Made in Italy”. Tutti questi fattori hanno dato vita ad altrettanti fenomeni culturali che hanno a loro volta alimentato la crisi: stiamo assistendo a una decentralizzazione generale dei poli del lusso, con la Turchia e l’India che cominciano ad emergere come nuove potenze; i consumatori stanno perdendo fiducia nel lusso tradizionale, e infine il “gioco delle sedie” dei direttori creativi delle maison sta continuando ininterrottamente, fomentando la confusione generale del settore. Insomma, tra l’espansione di Zara e di Shein, la decrescita dei gruppi del lusso, l’aumento dei prezzi e la diffusione delle inchieste sull’artigianato italiano, il Made in Italy non ne esce benissimo. Nel tentativo di risanare la situazione, questa settimana Camera Nazionale della Moda Italiana ha proposto una nuova legge di bilancio alla Camera dei Deputati.
Diviso in sette punti, il nuovo disegno di legge di CNMI offre un quadro approfondito dei progetti su cui l’Associazione è pronta a scommettere. Il primo riguarda la restituzione del Credito di Imposta: mentre fino al 2019 lo Stato aveva offerto alle imprese tessili dei supporti economici sostanziali, a partire dal 2022 è stato chiesto a tutti i riceventi di restituirli. Per aiutare le aziende coinvolte e ridurre il rischio di fallimento dei business più piccoli, CNMI propone di dilazionare i riversamenti su dieci anni e di chiedere solo il 30% di quanto stabilito. A seguire, è stata proposta una normativa per il “trasferimento generazionale” del know-how, dagli anziani ai giovani, per favorire la formazione di nuovi artigiani. CNMI scrive che dovrebbero non solo venire inserite maggiori agevolazioni fiscali per i datori di lavoro a sostegno dell’occupazione giovanile, ma anche per i pensionati che decidono di diventare formatori.
Dopo una legge per il Welfare Aziendale, creata per sostenere la salute dei lavoratori con beni e servizi (che finiscono per far risparmiare anche le aziende, rispetto ai più semplici aumenti di stipendio), CNMI si espone finalmente sulla questione supply chain con una proposta per combattere le attività illecite. Per esercitare maggiore controllo della catena produttiva e garantire che le condizioni degli stabilimenti e il trattamento del personale siano nella norma, l’Associazione propone di certificare un sistema di controllo esterno delle aziende. La proposta di legge, aggiunge il Presidente di CNMI Carlo Capasa, deve avere «valore su tutto il territorio nazionale e prevedere l’istituzione di una certificazione terza per tutte le aziende operanti nell’industria della moda». Per contenere i danni subiti dal Made in Italy negli ultimi anni e guarire la reputazione della moda italiana, nel nuovo disegno di legge di CNMI c’è anche un progetto marketing. Con un fondo per la promozione internazionale dei valori e dell’immagine della Moda, l’Associazione chiede il supporto da parte del Governo italiano per rappresentare le aziende italiane del settore tessile all’estero - in parole povere, una specie di “Open to Meraviglia” 2.0 (ma senza danni erariali). Gli ultimi due punti riguardano il potenziamento della Cassa Integrazione Ordinaria e l’introduzione di maggiori supporti economici per le aziende manufatturiere in difficoltà.
Oltre alla proposta di un sistema di controllo esterno e certificato per le supply chain italiane, a cui CNMI, come ci aveva raccontato Carlo Capasa in un’intervista sui nostri canali, lavora da tempo, dal disegno di legge dell’Associazione emerge in maniera evidente quanto la crisi stia impattando non solo i grandi vertici del lusso, ma soprattutto le piccole imprese. Mentre, dopo un periodo di magra, le potenze Kering e LVMH rimangono dopotutto in piedi grazie ai bottini raccolti nelle stagioni passate e alla diversificazione dei loro portafogli (il gruppo di Arnault ha appena pucciato i piedi nel mondo della Formula 1 con un nuovo accordo decennale), sono le attività emergenti e gli artigiani a soffrire. Le prime sono costrette a restituire anche quel poco che gli era dato dallo Stato negli anni precedenti, gli ultimi si ritrovano incastrati tra due problemi: la mancanza di ricambio generazionale e la perdita di fiducia da parte dei consumatori. Adesso, alla vecchia guardia della Moda italiana non resta che sperare che la proposta di legge di CNMI venga approvata, che i supporti finanziari vengano effettivamente messi in piedi e che i tanto celebrati “giovani talenti” della industry abbiano voglia di imparare l’arte del “fatto a mano” da loro. La posta in gioco è alta ma, a giudicare dalle aspettative di CNMI, è arrivato il momento di scommettere.