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Il ritorno dell'amichevole brand di quartiere

Per evolversi, bisogna fare le cose come una volta

Il ritorno dell'amichevole brand di quartiere Per evolversi, bisogna fare le cose come una volta

La moda annaspa. La moda di lusso, almeno. Girando per le strade di Milano, specialmente nel weekend, però, non sembra che i consumi siano arrivati a uno stallo: certo, se a Montenapoleone le boutique sono sempre in attività, poco vicino, in Corso Garibaldi, non è insolito che si formi la fila davanti ai negozi di Stussy, di Supreme, di Carhartt WIP. Più a sud, in città, numerosi giovani e giovanissimi ronzano intorno al negozio di Nude Project, nuova insegna apparsa davanti al recentemente ampliato negozio di Carhartt WIP in Ticinese, mentre qualche giorno fa, davanti una sample sale di Iuter, una lunga fila si è snodata fuori dalla porta per almeno due interi giorni. Certo, non siamo ai folli livelli di attività che si registravano ai tempi del boom dello streetwear, non di meno è indicativo che in un anno difficile come il 2024 sia Stussy che Carhartt WIP abbiano aperto nuove sedi a Milano, non troppo lontano dal nuovo store di Rains, approdato in Italia da Copenhagen. Tutti questi brand hanno in comune qualcosa: negozi fisici, prezzi premium ma accessibili e una community di giovani aficionados che non chiedono di meglio di fare shopping in maniera casuale, come si faceva una volta. Nel caso di Nude Project, come ci ha raccontato il co-founder e direttore creativo Bruno Casanovas, «siamo partiti come brand digitale ma abbiamo capito subito che la nostra community aveva bisogno di uno spazio per vedere, respirare e sperimentare Nude Project». Il che ha portato inizialmente a «eventi pop-up nelle principali città, dove la domanda della nostra comunità è stata travolgente: vedere le lunghe file di gente, l’energia che circondava il brand ci ha convinto a fare il salto verso i negozi», spiega. «Dopo aver capito il mercato, organizzato diversi eventi e pop-up, il nostro store di Milano è diventato un successo per noi».

La strategia funziona: secondo Growjo, Stussy ha sfiorato i cento milioni di revenue l’anno scorso; mentre Nude Projects è cresciuta del 500% soltanto nel 2022 arrivando a una revenue di 30 milioni di euro nel 2023 e con otto negozi e un caffè aperti in soli tre anni. Un altro brand spagnolo, TwoJeys, è diventato un fenomeno europeo nel giro di cinque anni partendo con una serie di pop-up in Spagna e finendo per aprire dieci negozi in tutta Europa. «Il negozio non è solo un luogo dove fare acquisti, è un luogo dove vivere il brand», ci ha spiegato Juanjo Villora, che gestisce il ramo retail di TwoJeys. «I negozi fisici sono l'epicentro della comunità locale. Organizziamo eventi, collaborazioni con artisti locali e ci assicuriamo che i clienti sentano che lo spazio appartiene anche a loro. Ci piace entrare in contatto con i creativi della zona e fare in modo che i nostri negozi siano sempre animati da qualcosa». L’aspetto comunitario è centrale anche per Bruno Casanovas di Nude Project, che ci ha spiegato: «Cerchiamo aree commercialmente attraenti che si trovino anche in quartieri in cui la nostra comunità si senta a proprio agio e in sintonia con l'atmosfera generale». Nel caso del negozio italiano del brand, che insieme allo store di Lisbona è l’unico punto vendita fuori dalla nativa Spagna, la zona in questione è il quartiere di Ticinese, a due passi dalle Colonne e dai Navigli e pieno di negozi di abbigliamento youth-oriented che vanno da Iuter e Dolly Noire, a negozi vintage fino a Carhartt WIP e il multimarca Special. Quello di Nude Project, tra parentesi, è l’unico dotato di una fontana interna che, durante un recente evento in fashion week, è diventata un enorme ghiacciaia per la birra del brand, che si chiama Desnuda (ed è pure buona). «Tutti i nostri negozi sono unici perché, per entrare in contatto con ogni città, ci piace esplorare la sua storia e le sue tradizioni, usandole come linee guida per il design del negozio», spiega Casanovas. «Soprattutto nei nuovi Paesi, ci assicuriamo che la cultura locale e la sua gente risuonino con il nostro marchio e trasmettano gli stessi valori».

@twojeys This is not a PopUp! New TwoJeys store opening in Paris, Rue Vieille du Temple 72#twojeysenergy #twojeysjewelry #twojeys #paris #store #new #jewelry sonido original - TWOJEYS

Qualcosa di simile, come racconta BoF, sta accadendo anche a Manhattan dove, nel Lower East Side, sta avvenendo una piccola fioritura di negozi menswear: Awake ha aperto lì di recente, così come Le Père, Fugazi (il cui store è anche un caffè), Denim Tears, Vowels, di nuovo Rains arrivato pochi giorni fa in Madison Avenue e prossimamente sia Stussy che il cult brand di sartoria contemporanea Stoffa. Anche il brand inglese premium Varley ha deciso di aprire un’insegna in città. Solo gli ultimi nomi di una lunga lista di giovani brand che hanno aperto un negozio in città tra 2020 e 2023 approfittando anche di tariffe di affitto convenienti apparse in città dopo il lockdown. Le ragioni di così tante aperture che vengono elencate negli articoli sono riassumibili nel concetto vecchio ma sempre valido che i vestiti vanno prima di tutto provati – dopo tutto gli e-commerce sono un surrogato del negozio e non il contrario. Altri brand volevano emanciparsi dalla taccia di essere unicamente basati su Instagram: la concretezza fisica di un negozio che esiste nella realtà batte l’intangibilità del negozio digitale in un momento in cui la psicologia dei consumatori e ciò che la stimola ad acquistare è un aspetto sempre più importante per la salute di un business. Un aspetto che, per esempio, è stato fondamentale per la rapida espansione di TwoJeys (i cui founder, ricordiamolo, nascono come influencer) come ci ha detto Juanjo Villaora: «L'interazione personale e fisica con il prodotto e il cliente è qualcosa che nessun sito web può replicare. Non si tratta solo di vendere, ma di costruire una comunità e di rendere ogni negozio un punto di connessione diretta con il marchio». Senza parlare di come la scienza abbia già dimostrato da praticamente mezzo secolo che nulla aiuta gli affari come l’iniezione di dopamina che colpisce il cervello del cliente quando esce da un negozio con una o più borse in mano – senza i noiosi e impersonali processi che l’acquisto online comporta. 

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Qualcosa di simile è emerso anche in un’altra occasione recente, ovvero il convegno Re-Retail: tecnologia, mercato e consumatori nel mondo del fashion retail tenutosi qualche giorno fa a Palazzo Lombardia e organizzato da Camera Buyer Italia. A intervenire qui erano i responsabili dei principali negozi multibrand di lusso mondiali (e dunque un livello di retail diverso da quello che stiamo prendendo in esame) che però, nel raccontare le proprie difficoltà e strategie per uscire dal difficile contesto attuale sono approdati al concetto che la nuova generazione di “amichevoli brand di quartiere” sta già applicando: il back to basics. Con cui non si intende ovviamente un ritorno ad abiti basici, ma ai “fondamentali del mestiere” e cioè la capacità di fare curation, prevenire trend, creare uno spazio culturalmente denso, fungere per certi versi da polo aggregatore – insomma, la concretezza e l’attenzione al consumatore e al prodotto. Una nozione emersa come contraltare di un atteggiamento orientato all’omnichannel e all’e-commerce (il 75% dei multibrand di lusso investe oltre il 10% del giro affari in digitale) che ha però portato questi retailer in una situazione che adesso va cambiata, indi per cui un summit per fare il punto della situazione, e che WWD descrive così: «La performance delle operazioni di e-commerce è stata lenta. Le strategie di vendita diretta dei marchi del lusso hanno ridotto l'accesso dei negozi indipendenti ai grandi nomi. Le politiche di sconto dei rivenditori online sono andate a scapito della piccola imprenditoria, spesso di tipo “brick-and-mortar».

In breve, l’intera strategia di questi nuovi negozi più pop e accessibili è, banalmente, quella di offrire la vera esperienza dello shopping “analogico” senza le complicazioni, i form da riempire, i servizi cliente telefonici e le confusioni del più impersonale e-commerce. «Il legame con la nostra comunità è il valore più grande», sottolinea Casanovas. «Inoltre, ci permette di espandere la comunità, in particolare tra coloro che non si dedicano molto ai social media o allo shopping online. Un negozio fisico è uno dei modi più autentici per materializzare il marchio». Anche quando da TwoJeys si decise di correre il rischio di investire in pop-up e negozi fisici sapevano che «lo shopping in negozio avrebbe potuto fare una grande differenza e l’esperienza del brand non riguardava solo le vendite online. Negozi e pop-up ci hanno consentito di creare la prima connessione tangibile con i clienti». Con l'eccessiva saturazione del marketing digitale, in effetti, questi spazi fisici stanno diventando fondamentali per ristabilire un legame con il proprio pubblico. Si tratta di permettere ai clienti, specialmente giovani, di interagire con il brand—un aspetto che le piattaforme online non possono replicare. Se nel caso di Nude Project,  «l'e-commerce ci permette di raggiungere oltre 100 paesi ed è ancora in testa in termini di vendite», Bruno Casanovas riconosce che «entrare in un negozio significa sperimentare pienamente la personalità del brand: è come visitare la casa di un amico. Inoltre, la qualità e l'esperienza di vedere i prodotti di persona sono fondamentali. Questa interazione diretta non solo migliora l'esperienza del cliente, ma rafforza anche il legame emotivo con il marchio». Dall'atmosfera curata ai lanci esclusivi, questi negozi rispondono al crescente desiderio di connessione personale e di esperienze uniche che risuonano con le nuove generazioni. È per questo che il retail è definito un'«esperienza». Comprare online, in fin dei conti, non significa altro che scorrere e cliccare.