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Una Fashion Week così magra non si vedeva da un po'

La moda ama così tanto la nostalgia che è tornata a venerare trend dannosi

Una Fashion Week così magra non si vedeva da un po' La moda ama così tanto la nostalgia che è tornata a venerare trend dannosi

Alle ultime sfilate di moda si è parlato molto di nostalgia. Da Cavalli sono tornate in passerella le muse del brand di due decenni fa, Miu Miu ha celebrato gli anni dell'innocenza, mentre Anthony Vaccarello e Alessandro Michele hanno ripescato estetiche passate per Saint Laurentper Valentino. Tanta è stata la voglia di tornare indietro nel tempo che anche il casting, malgrado ricco di volti nuovi, ha ripercorso vecchie tendenze abbandonando quasi completamente l'inclusività: secondo il nuovo Size Inclusivity Report di Vogue Business, a Milano il 98% delle modelle portava la taglia 0 (per gli europei, la 36), mentre solo lo 0,3% era da considerarsi plus size - lo studio dimostra persino che le taglie medie sono state "falsate" poiché, nonostante si trattasse della SS25 womenswear, molte corrispondevano a look menswear indossati da uomini. Non sorprende che i brand che hanno proposto il maggior numero di taglie inclusive in passerella fossero principalmente indipendenti o emergenti, con Sunnei e Marco Rambaldi a Milano, Karoline Vitto, Chopova Lowena e Di Petsa a Londra oppure Ester Manas, Rick Owens e Cecilie Bahnsen a Parigi. A parte casi eccezionali come Marni, Ferragamo, Hermès, Miu Miu e Chanel (che comunque si aggiudicano gli ultimi posti in top 10), le maison di lusso non solo sembrano aver voltato le spalle al "trend" dell'inclusivity, ma addirittura aver optato per la magrezza eccessiva. In un frangente di nostalgia-mania che ha reso anche i designer più visionari dei malinconici cronici, persino il punto vita ha perso terreno, incastrato in un vecchio dipinto che la moda pensava di avere ormai abbandonato in soffitta. Secondo il report, però, era solo questione di tempo prima che il boom dell'inclusivity degli ultimi anni subisse un contraccolpo.

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A parte la solita spiegazione socio-culturale (fin dagli anni delle Guerre Mondiali, i manichini e le modelle si fanno più piccoli durante i tempi di crisi) dietro i periodi in cui la moda adotta un'ecessiva magrezza, questa volta i fenomeni che hanno riesumato la tendenza sono molteplici. Uno tra questi è sicuramente l'ascesa dell'utilizzo di farmaci dimagranti: in America, The Independent e Wall Street Journal hanno raccontato la gioia dei negozianti nello scoprire che molti dei 15,5 milioni di cittadini che hanno provato Ozempic e Wegovy adesso hanno bisogno di vestiti più piccoli, a scapito dei rivenditori di abbigliamento plus size. I farmaci stanno venendo utilizzati da tutti, persino dalle modelle che un tempo erano celebrate per la loro formosità - «Molte modelle che un tempo erano plus-size ora sono di taglia media», ha detto un casting director di Londra al The Guardian. Inoltre, l'ascesa delle nepo baby nel mondo del modelling sta portando in passerella un nuovo tipo di diversità, con modelle come Iris Law, Lila Moss e Sunday Rose (la figlia di Nicole Kidman e Keith Urban che ha fatto il suo debutto in Fashion Week proprio questo settembre, aprendo lo show di Miu Miu) che si fanno portavoci di un nuovo look, familiare ma diverso. In un quadro così variegato, in cui le modelle che erano plus size sono dimagrite e i volti più amati sono quelli dei figli d'arte, i brand si sentono al sicuro nell'abbandonare tutte le tendenze che, a un'industria a cui non piace cambiare, stavano scomode. Se da un lato è bene che un brand possa scegliere come rappresentare il proprio "cliente ideale", dall'altro un utilizzo di modelle eccessivamente magre potrebbe portare a un'altra futura inversione di tendenza, perpetuando un ciclo di glorificazione di un corpo o di un altro che, tra l'altro, porta inevitabilmente a critiche e pregiudizi che non hanno nulla a che fare con i vestiti. Alla moda serve trovare il giusto equilibrio: come potrebbe affermare qualsiasi bravo dietologo, la dieta migliore non è estrema, è sostenibile.