La moda è dal lato sbagliato della storia?
Come il lusso ha rifiutato di evolversi e ora è bloccato nel passato
07 Ottobre 2024
In astronomia, quando si parla di rivoluzione ci si riferisce a un corpo celeste che finisce di compiere il suo giro e torna, dopo un lungo giro, alla posizione che occupava al principio – il che è ironico dato che normalmente quando parliamo di rivoluzione parliamo di un cambiamento. Ma anche nella storia capita spesso che l’atto finale di una rivoluzione sia il ritorno della società a uno stato praticamente identico di quello di partenza: dopo la Rivoluzione Francese, ad esempio, venne Napoleone che divenne sostanzialmente un altro sovrano assoluto e, quando Napoleone venne sconfitto a Waterloo, con il Congresso di Vienna del 1814 i vecchi monarchi europei fecero di tutto per ricreare l’Ancien Régime – con tutte le distinzioni del caso. Qualcosa di simile è avvenuto anche nella moda di oggi, in cui i grandi gruppi del lusso, vecchi monarchi dell’industria, sembrano aver dimenticato la rivoluzione che stava avvenendo anni fa e si sono messi alle spalle il Napoleone che ne era emerso: Virgil Abloh. Lo scorso 30 settembre, infatti, nel giorno del compleanno di Abloh, LVMH ha venduto Off-White – segnalando non solo l’irrevocabile divorzio tra moda e streetwear, ma anche la rinuncia a creare collezioni che fossero in sintonia col presente, con la “strada” e con le nuove generazioni che la calcano.
La vendita di Off-White, infatti, non è stata una semplice transazione d’affari, ma ha manifestato al di là di ogni ragionevole dubbio la sfiducia (o meglio, il rifiuto) nei confronti del mondo streetwear così come la volontà di dimenticare il passato e di come solo qualche anno fa il lusso fosse uscito dagli atelier e dai centri città per riversarsi nelle strade, catturando l’interesse di una nuova generazione che trovò se stessa nella moda, restituendole una rilevanza che nel corso del primo decennio degli anni 2000 aveva perso. Un’intera generazione di designer e appassionati di moda, oggi, rimane orfana di Virgil Abloh. E proprio in questo momento, un frangente storico in cui film come Megalopolis e i ragionamenti di un vasto numero di scrittori paragonano il moderno Occidente all’Impero Romano della decadenza, l’industria della moda ha praticamente deciso di muoversi in aperta contraddizione con la storia, ancorandosi al passato e rivolgendosi a un élite così ristretta e rarefatta da azzerare del tutto la sua capacità di far presa sulla cultura giovanile e del mondo intero. Rinunciando a Off-White, la moda istituzionale ha deciso di rinunciare alle nuove generazioni – e non tanto perché il suo rapporto con le nuove generazioni dipendesse dal brand, ma perché il brand è quello che in origine si era fatto portatore di quei valori che erano stati poi adottati da tutta l’industria.
@nssmagazine Exactly two years ago, Virgil Abloh passed away—a designer who left a distinct mark on contemporary fashion and contributed to redefining the concept of creativity. To honor Virgil, we have extracted a clip from a lecture he gave at the Rhode Island School of Design, where his vision and attitude in his craft and life in general shine through clearly. Long Live Virgil. #virgil #virgilabloh #lecture #interview #creativity #lifelessons #inspiration #fashion #art #perfectionism QKThr - Aphex Twin
Per un momento, iniziato con il primo show di Virgil Abloh da Louis Vuitton, il pubblico della moda ha sognato di poter abbattere le barriere che separano il mondo del lusso dal quello della cultura pop attraverso un pensiero inclusivo che desse la possibilità alle nuove generazioni di avvicinarsi al mondo patinato della moda ed esprimersi attraverso di esso. Un approccio nuovo e importantissimo ma con ovviamente qualche criticità, dato che il prezzo di avvicinare così tanti nuovi giovani creativi alla moda è stato quello di aprire le porte a un certo dilettantismo che, in assenza del capitale culturale che Abloh possedeva grazie ai suoi studi sul design e sull’arte, è stato anche responsabile di appiattire l’idea del fashion design alla mera grafica e al rifacimento di prodotti e idee già noti con minimi cambiamenti – la famosa regola del 3% di Abloh. Proprio questo dilettantismo, che mal si è connesso con la clientela del lusso, quella ricchissima e fedele per tutta la vita, ha portato come reazione al ritorno dell’antico regime in passerella – ma cancellando totalmente la capacità di raccontare la realtà in tutti i suoi aspetti. Oggi, tra il crollo di ogni ideologia e sistema di riferimento, sull’orlo della guerra e a due passi dal collasso degli ecosistemi, ci si sente come alla fine della storia – causando una rabbia, un dolore e uno smarrimento che oggi la moda dovrebbe essere in grado di raccontare e non può, bloccata nella recita escapistica di un lifestyle dorato e idilliaco che non ha altro valore da esprimere oltre al suo stesso privilegio.
Forse la moda, proprio come le nuove generazioni, guarda al futuro con ansia e vuole tornare indietro perché non è in grado di andare avanti, privata della sua spontaneità e dell’arte che le è da sempre intrinseca, schiacciata dalle richieste commerciali e nauseata dall’ideologia del profitto intensivo e sempre crescente. E in questo fashion month abbiamo davvero assistito a show capaci solo di raccontare la nostalgia dei tempi passati, senza sguardi curiosi o intuitivi sul presente o sul futuro. Ma purtroppo è così quando tutto sembra seguire quel principio di legittimità per cui il lusso è pensato e sviluppato solo per i ricchi – l’unica classe che, dai tempi dell’Antica Grecia, sostanzialmente non cambia o si evolve mai. Bisognerebbe invece ridefinire l'idea di lusso, facendone non un significante di status sociale ma il portatore, nel nome dell’eccellenza delle arti applicate, di nuovi valori all'interno di essa e liberandosi dall'idea mercantilistica dell’alto margine a ogni costo – idea, per altro, che fa nascere sempre più contraddizioni e discrasie anche all’interno della percezione dei ricchi a cui il lusso è destinato, restringendo ancora di più la base clienti di una moda sempre più disperata. E se oggi fosse più lussuoso un completo di Armani comprato su Vinted di uno fresco della passerella di Saint Laurent? Dopo tutto non si fa che ripetere che in passato la qualità di tutto era più alta e anche le vecchie seconde linee appaiono spesso meglio rifinite dei prodotti che atterrano in negozio oggi. Lo show, le celebrity e i prezzi elevati oltre ogni soglia di ragionevolezza sono ancora così determinanti nel definire l'idea di lusso attuale? O basta possedere un oggetto di pregio per goderne?
La verità è che la definizione di ciò che è moda e le maniere di parteciparvi sono già cambiate – è paradossalmente la moda a essere in ritardo, dato che non ha voluto riconoscere il cambiamento fondamentale e irrevocabile di ideologia verificatosi con l'avvento di Virgil Abloh. I grandi gruppi non danno segno di volerne tener conto, anzi, pare che gli ultimi anni non siano mai esistiti e che si parli solo di alto artigianato e lusso dei materiali mentre le borse vengono cucite in sweatshop semi-illegali sparsi attraverso le campagne di mezza Europa. Le conseguenze di questo atteggiamento intollerante al cambiamento si manifestano nel dilagante successo del fast fashion, i cui brand principali come Zara, H&M o Uniqlo hanno già iniziato a mettere le mani sui creativi che fanno parte del mondo del lusso ma ne sono stati in un modo o nell’altro respinti o esclusi. Ma la migrazione dei creativi al fast fashion sta innescando nuovi moti e rivoluzioni ben più pericolose che difficilmente si risolveranno capovolgendo ancora una volta il tavolo da gioco.
@nssmagazine Today we celebrate what would have been Virgil Abloh’s 44th birthday with one of the most important lessons he left for the younger generations. In a talk for the XQ Institute, the designer explains how to overcome the limits that society imposes on creatives and how to follow your instincts. Happy birthday, Virgil. #virgil #virgilabloh #offwhite #louisvuitton #creative #creativedirector #advice #adviceforcreatives intervalo II - whopper
Per capire lo stato della partita abbiamo messo a confronto i risultati finanziari di metà anno di Kering e LVMH (di quest’ultimo abbiamo escluso le cifre relative ad alcolici ed hotel) con quelli di Inditex e Fast Retailing: è emerso che nella prima metà del 2024 i due gruppi del lusso hanno visto una decrescita complessiva del –10,2% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, trainata per lo più dalle perdite di Kering; mentre la crescita dei due gruppi fast fashion è stata del +7,8%. Complessivamente però, LVMH e Kering hanno registrato 47,9 miliardi di revenue mentre i due gruppi del fast fashion hanno solo 28,8 miliardi. Anche se è chiaro che la sommatoria è solo indicativa dei rispettivi settori, la questione si muove su un doppio binario: il lusso fa più soldi ma la sua crescita è parecchio rallentata da spese per investimenti e vendite al rilento; il fast fashion è comunque redditizio ma cresce rapidamente. Nello specifico, Kering è il fanalino di coda dell’intera selezione dato che nella prima metà dell’anno ha guadagnato meno di Uniqlo. Le forze del fast fashion, insomma, stanno guadagnando terreno e presto potranno competere con il lusso, almeno in termini di potere di spesa. La storia dovrebbe insegnare alla moda che il tempo non si ferma, ma va avanti inesorabilmente. Gli scogli non fermano il mare del cambiamento e le passerelle non ritorneranno nei palazzi del potere di un tempo; la rivoluzione è ancora lì, per strada, e arriverà un altro Virgil a guidarci e a capovolgere nuovamente la piramide.