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Anche quest’anno The Row ha vietato i video allo show

Se era un trucco delle gemelle Olsen per creare hype, ci sono riuscite

Anche quest’anno The Row ha vietato i video allo show Se era un trucco delle gemelle Olsen per creare hype, ci sono riuscite

Cavallo che vince non si cambia. Dopo lo straordinario successo del veto ai telefoni e alle riprese al proprio show della scorsa stagione, le gemelle Olsen hanno rincarato la dose per l’ultimo show SS25 di The Row stabilendo di fatto una tradizione che, presumiamo, diventerà il nuovo standard del brand. L’idea è ottima dato che, dalle notizie giunteci da @stylenotcom, la collezione era iper-concisa, con soltanto 27 look, con tre modelli-chiave rappresentati da un trench color cammello, una camicia bianca e un clog di gomma. Di norma, infatti, i brand di quiet luxury che presentano alla fashion week preferiscono non farlo con una sfilata, dato che la passerella è destinata a capi e look più vistosi ed eccentrici. Gli show di The Row non sono propriamente basici, anzi, ma le loro collezioni tendono a essere sempre stringate e il focus del brand è più sull’idea di piccola comunità segreta che su quella di un impetuoso successo sui social. Non a caso uno degli aspetti più chiacchierati dello show è il catering, aspetto che di nuovo è più tipico delle presentazioni dove si fa colazione che degli show, sempre improntato al purismo gastronomico più chic. Qualche esempio: nel marzo 2023 venivano servite pezzi di cioccolata fondente e pere accompagnate da acqua, caffè, tè verde e smoothies, latte di mandorle e cioccolata calda biologiche; lo scorso febbraio vennero servite madeleines e toast imburrati mentre quest’anno c’era un sacchetto di carta marrone che includeva un croissant, una madeleine e quello che sembrava essere un profiterole.

Inutile dire che la desueta ritualità del brand, con i suoi camerieri-modelli che servono rinfreschi su vassoi d’argento in t-shirt bianca e pantaloni di sartoria neri; l’abitudine di consegnare agli ospiti taccuini e matite iper-minimalistici dove annotare le proprie impressioni e questi show che tutto sono tranne una chiassosa macchina di marketing comunica meglio lo spirito di The Row che mille lookbook immediatamente disponibili. E considerato che adesso, dopo aver ricevuto i lauti finanziamenti della famiglia che controlla Chanel e dell’ereditiera di L’Oreal, che ne hanno confermato il posizionamento tra i più alti astri del lusso, The Row ha anche aperto la sua prima boutique parigina, si direbbe che la strategia del brand funziona – ed è facile capire il perché. Non è soltanto un discorso di distinzione rispetto ai competitor e nemmeno una questione di elevata qualità (che comunque il brand possiede) ma il chiaro desiderio di fare le cose “come una volta” senza cedere a quella peer pressure che ormai subiscono anche i brand più piccoli e indipendenti di imbastire show nel senso teatrale del termine. Piuttosto le sfilate di The Row assomigliano a quelle presentazioni che nelle principali città della moda si tengono nelle boutique dei brand stessi, dove sono invitati i clienti che osservano singolarmente look e prodotti mentre sorseggiano champagne e vanno via dopo aver comprato qualcosa. Inutile dire che l’impossibilità di vedere gli abiti, spesso semplicissimi, ne moltiplica la bellezza all’infinito – forse se li vedessimo sempre e se il brand urlasse col suo marketing ci stancherebbero.

Quello di The Row è una moda più “piccola” che sta dimostrando di avere un certo successo. Dopo tutto, ogni brand di lusso sul pianeta mira in ogni caso al segmento di clienti più ricchi in assoluto, che è ormai l’unica vera fonte di sostentamento dell’industria. Il problema è che molti brand vogliono parlare a un’audience ristretta di privilegiati mantenendo un appeal più massificato possibile, che è un po’ come provare a dipingere usando una cazzuola. L’esclusività in fondo è solo un derivato collaterale di ciò che The Row offre veramente – e cioè riservatezza e intimità, un tipo di dimensione umana, corredata da piccoli tocchi di buon gusto e cortesia, che molti grandi brand di moda sono troppo grandi e articolati per poter anche solo simulare. Il brand dopo tutto è accessibile in termini di shopping: ha un e-commerce, grossisti in tutto il mondo e ora, a quanto pare, sta anche cautamente ampliando la rete di negozi. Il valore aggiunto è costituito da quella sensazione di garbo, semplicità e premura che può esistere solo in un contesto più personale e che soltanto un brand dalle dimensioni più ridotte può fornire. Proprio quel senso di intimità manca alla moda pirotecnica e dai toni un po' circensi che anima tutte le fashion week. Nessun brand di LVMH, dopo tutto, potrebbe plausibilmente servire pasticcini in una busta di carta marrone ai propri invitati: i loro show sono troppo rumorosi, indiscreti e affollati per godersi una colazione in pace.