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Siamo davvero il nostro account Instagram?

La moda e il problema dell'affermazione professionale attraverso il numero di follower

Siamo davvero il nostro account Instagram?  La moda e il problema dell'affermazione professionale attraverso il numero di follower

Nella moda non tutti lavorano con i social media ma tutti, in una maniera o nell’altra, li usano per lavoro. Nella industry che ha saputo trasformare  il culto dell’immagine in un business da miliardi di euro, ci sono addetti ai lavori che sono conosciuti più per lo pseudonimo usato come handle su Instagram o Twitter  - BryanBoy, FashionRoadman, HauteLeMode, BrendaHashtag - che per il loro nome reale - Bryan Yambao, Odunayo Ojo, Luke Meagher, Brenda Weischer. Ci sono scrittori che hanno visto il loro libro venire respinto da una casa editrice poiché la loro presenza social risultava irrilevante rispetto ad altri, modelle obbligate a postare con una certa frequenza su Instagram per garantirsi un posto in passerella durante le Fashion Week più importanti della stagione. In una nuova ricerca di Vogue Business che analizza il peso dei social media nella fashion industry, è emerso quello che, in fondo, c’era da aspettarsi: l’engagement social influenza duramente una carriera nella moda, si questa quella di un editor o di un fotografo, di un casting director o di un parrucchiere. 

Nel report di Vogue Business, il 91,1% degli intervistati ha ammesso di sentirsi costretto a curare la sua presenza social, mentre il 92,1% crede che il proprio account, almeno una volta, abbia influenzato il corso della sua carriera. In un modo o nell’altro, nella moda il feed è diventato il nuovo curriculum, un mix di contenuti che ha il compito di presentare a un potenziale datore di lavoro le potenzialità del candidato. Un fotografo deve condividere le proprie foto, uno scrittore deve impegnarsi particolarmente nella creazione delle caption, un PR deve costruire, all'interno della propria lista follower, una fitta rete di connessioni. Se il report di Vogue Business riflette veramente il pensiero della industry, allora è vero che nella moda tutti, dai PR ai buyer, dai social media manager ai giornalisti passando per gli stylist e i direttori creativi, sono condannati a essere schiavi del proprio telefono. Ma quanto ci si può fidare davvero di quello che una persona posta online, del loro seguito e di quanto il loro lavoro sia effettivamente rilevante? Casi passati insegnano che i follower si possono comprare e che l’algoritmo premia solo un certo tipo di contenuti; la finzione è alla portata di un click; basta saper cliccare il tasto giusto. 

@gremlita

original sound - Mina Le

Effettivamente, essendo una industry che ruota attorno all’immagine, è quasi normale che la moda sia così tanto legata al mondo dei social media: così come per vendere i propri vestiti i brand devono costruire una presenza mediatica che si estende in ogni ramificazione digital (TikTok, YouTube, X o i cinesi WeChat e Weibo), anche chi vuole vendere il proprio lavoro deve farsi riconoscere su almeno un paio delle piattaforme più famose. Con l’unica differenza che un brand solitamente conta sui social media manager, un libero professionista può solo contare su stesso: oltre alle quaranta ore settimanali di lavoro “regolare” (che spesso, come sappiamo, nella moda sono molte di più) si aggiungono quindi quelle impiegate per postare, per editare, per pensare a contenuti originali e per restare aggiornati sui trend. Vogue Business dice che Instagram è il nuovo curriculum, ma curare il proprio account è un lavoro a tempo pieno che non finisce una volta conquistata una nuova posizione professionale.

Oltre a provocare alti di livelli di stress, fare della propria identità un PowerPoint, dedicare infinite ore alla curatela del proprio account nella speranza di conquistare il lavoro dei sogni esprime infine un grande paradosso. Perché per “sfondare” su una piattaforma come TikTok occorre essere originali, però spesso l’unico modo per entrare nella ruota dell’algoritmo è copiare quello che fanno gli altri; è questo il meccanismo che dà vita ai trend, un fenomeno che premia o morde in maniera quasi casuale. L’industria della moda resta in piedi grazie al concetto di novità, di eccezionalità, perciò la velocità con cui una homepage può sputare fuori idee calza a pennello con le richieste del settore; se però le persone che lavorano al suo interno cedono alla tentazione di seguire i trend social per avere qualche follower in più, si finisce per dire le stesse cose che dicono gli altri. E così il mito della moda innovativa crolla. Agli inizi di carriera è giusto seguire le regole, ascoltare colleghi più maturi o esperti, ma occorre sempre tenere a mente che a volte andare contro corrente è più difficile ma più redditizio. Che per rompere gli schemi, a volte, bisogna abbandonare gli schermi.