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Cosa sta succedendo da Nike

Dopo un anno nero, il CEO è stato sostituito ma non si sa ancora cosa succederà

Cosa sta succedendo da Nike Dopo un anno nero, il CEO è stato sostituito ma non si sa ancora cosa succederà

Nike ha annunciato un importante cambio di leadership: il CEO John Donahoe lascerà l'azienda, e sarà sostituito dall'ex dirigente Nike, Elliott Hill, a partire dal 13 ottobre. Hill, che aveva ricoperto diversi ruoli di vertice prima del suo ritiro nel 2020, torna ora per guidare una delle aziende più potenti e influenti del mondo dello sport e della moda che però ha vissuto un anno terribile in termini di vendite e performance. La decisione del consiglio di amministrazione di Nike di sostituire Donahoe arriva dopo un'attenta valutazione delle esigenze future dell'azienda. Il presidente esecutivo di Nike, Mark Parker, ha spiegato che Hill, con la sua vasta esperienza internazionale e la profonda conoscenza del settore, è la figura giusta per guidare la prossima fase di crescita di Nike. E in effetti la mossa ha avuto immediati effetti positivi: il titolo di Nike è aumentato del 10,2% nelle contrattazioni dopo la chiusura della borsa, incrementando la capitalizzazione di mercato di oltre 12 miliardi di dollari. Con uno stipendio base annuo di 1,5 milioni di dollari, un bonus target del 200% dello stipendio e un incentivo annuale di 15,5 milioni di dollari, Hill ha un obiettivo chiaro: riportare Nike ai vertici, soprattutto dopo un periodo di critiche verso l’azienda per la sua mancanza di innovazione e la perdita di quote di mercato in settori chiave, come il running.

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Donahoe, che era stato nominato CEO nel gennaio 2020, aveva preso le redini di Nike in un momento cruciale, cercando di guidare l'azienda attraverso una fase di digitalizzazione e transizione verso il modello "direct-to-consumer". Ma la sua era è stata caratterizzata da un brusco rallentamento delle vendite e dalla mancanza di innovazione nei prodotti che hanno poi portato a una riapertura dei canali di vendita all’ingrosso tramite grandi rivenditori – in pratica l’opposto di quanto ci si era prefissati. Una parte fondamentale del piano di Donahoe prevedeva la rottura dei legami con oltre metà dei partner commerciali di Nike, inclusi colossi del calibro di Amazon e Foot Locker. La mossa, inizialmente, ha permesso a Nike di ridurre il numero di intermediari, aumentare i ricavi diretti e migliorare i margini di profitto ma nel lungo periodo ha aperto la porta a concorrenti come adidas, New Balance e On, che hanno rapidamente occupato gli spazi lasciati vuoti nei negozi da Nike. A peggiorare la situazione, l’innovazione di prodotto, una delle forze trainanti della crescita di Nike nel passato, ha subito un rallentamento significativo. I modelli di calzature più popolari, prodotti e commercializzati in via prioritaria, come le Dunks e le Air Force 1, hanno cominciato a perdere fascino tra i consumatori, senza nuovi prodotti pronti a sostituirli. Nel frattempo, Nike ha anche affrontato problematiche produttive, in parte dovute alle interruzioni legate alla pandemia di COVID-19, che hanno causato il blocco delle fabbriche in Vietnam, uno dei principali centri di produzione del marchio.

Le vendite globali di Nike hanno iniziato a mostrare segni di declino a metà del 2023, con un forte calo della domanda in mercati chiave come la Cina e l'Europa. Questi problemi hanno messo in luce le debolezze del modello di vendita diretto al consumatore. Allo stesso tempo, l'aumento dei costi e la crescita più lenta delle vendite hanno costretto Nike a rivedere le proprie previsioni di ricavi, spingendo Donahoe a introdurre tagli ai costi pari a 2 miliardi di dollari, inclusa la riduzione del 2% della forza lavoro globale. La mancanza di innovazione, un calo nelle vendite e un'erosione del morale aziendale hanno alimentato il malcontento all'interno della compagnia. Molti dirigenti e dipendenti, soprattutto quelli di lungo corso, hanno espresso perplessità sulle scelte di Donahoe, portando a un significativo turnover di talenti, specialmente tra i designer e i responsabili di prodotto. Alla fine del 2023, la situazione è culminata in un significativo calo delle azioni Nike, con una perdita del 20% del valore di mercato della compagnia. Donahoe, consapevole delle crescenti difficoltà, ha cercato di recuperare i rapporti con alcuni partner commerciali, come Foot Locker e Macy’s, precedentemente abbandonati, nel tentativo di riposizionare il marchio e rivitalizzare le vendite nei canali tradizionali.

Un’altra causa dei problemi di Nike, dovuti a una mancata innovazione, è stato il rallentamento delle collaborazioni più fashion oriented, che un tempo erano numerose ed elevavano l’immagine del brand con collezioni che riuscivano a sedurre anche le audience di lusso che, oggi, si rivolgono a competitor come New Balance, che collabora stabilmente con Aimè Leon Dore, Junya Watanabe e soprattutto con Miu Miu, ma anche On che da brand “esordiente” su un mercato già saturo ha accelerato la sua crescita a ritmi rapidissimi riuscendo anche a collaborare di recente con Loewe. D’altro canto, la tendenza che si ha nella moda di riempire ogni categoria commerciale ha portato numerosissimi brand a creare sportswear e sneaker che hanno ulteriormente eroso la base clienti di Nike che, proprio nel momento cruciale dell’era post-Covid in cui le tute e lo sportswear “elevato” diventavano categorie-chiave, non si è inserita in quel mercato lasciandosi sfuggire la ricca opportunità che, per citare un esempio forse banale, un brand come Pangaia ha colto. La sfida di Nike, dunque, non è tanto quella di riconquistare la base del mercato ma i suoi strati più alti tornando a dialogare con quella audience più ristretta ma anche più esperta che è in grado di elevarne la brand recognition e la desiderabilità in un momento in cui il middle market è pieno di domanda ma povero di offerta. Che Nike possa tornare in piedi entro il 2025?