Una nuova inchiesta sul problema del lusso in appalto in Italia
Mentre i brand smentiscono le accuse del Tribunale di Milano, BoF si rivolge agli artigiani e agli esperti del settore
17 Settembre 2024
Lo scandalo con cui sta facendo i conti il mondo della moda in questi ultimi mesi potrebbe avere ripercussioni enormi su tutto il settore. La scorsa primavera, dopo che il Tribunale di Milano ha messo sotto inchiesta le aziende Alviero Martini srl, Giorgio Armani Operations srl e Manufactures Dior srl, che sono state collegate a una rete di fabbriche in cui gli operai erano soggetti a sfruttamento, tutti gli organi di rappresentanza delle aziende (PR, dirigenti, addetti ai controlli per la sostenibilità e la qualità dei prodotti tra questi) si sono dovuti mettere a lavoro per gestire il danno causato all'immagine di ciascun brand. Nel caso di Dior, è emerso che alcune delle fabbriche coinvolte producevano borse in vendita per migliaia di euro al costo di 53 euro. Mentre all'interno dell'algoritmo moda, dove il caso è diventato elemento di discussione, gli utenti social gridano alla scoperta dell'acqua calda, i brand coinvolti devono agire al più presto prima che la loro reputazione perda completamente valore. Una nuova inchiesta di Business of Fashion si chiede come sia stato possibile, per maison di lusso famose per la preziosità dei loro prodotti, cadere nella trappola della moda a basso costo.
Dopo l'apertura dell'inchiesta da parte del Tribunale milanese, LVMH e Armani hanno provato a prendere le distanze dallo scandalo, sostenendo di non aver mai avuto contatto diretto con le supply chain sotto sequestro. Il problema è che nei documenti che riportano l'arrivo della polizia in una delle fabbriche in cui era coinvolta Armani emerge che uno dei rappresentanti dell'azienda si trovava proprio lì in quel momento. Allo stesso modo, il direttore finanziario di LVMH ha detto che trattandosi di sub-fornitori, l'azienda non era coinvolta nella collaborazione con le fabbriche incriminate, ma secondo il Tribunale due delle strutture erano in verità in diretto rapporto con Dior. Sia Armani che LVMH hanno confermato il loro impegno per migliorare i controlli delle proprie filiere, anche se entrambe hanno già istituito da tempo dei codici di condotta a cui devono attenersi i siti produttivi con cui collaborano, regolamenti e controlli (periodici e sostenuti in autonomia) che per il Tribunale non bastano. Secondo Business of Fashion, che ha parlato con diversi esperti veterani del settore delle supply chain di lusso, gli addetti alle ispezioni non sono incentivati dalle maison a trovare i problemi, anzi alcuni di loro vengono rimproverati per aver incluso troppi dettagli nei loro rapporti finali. A questo fenomeno si aggiunge poi il fatto che ciascun controllo sia programmato, e quindi l'arrivo degli organi incaricati dei controlli è a conoscenza dei proprietari delle fabbriche, il che rende l'esito dell'ispezione pressoché fasullo. Secondo Michael Beutler, ex dirigente della sostenibilità per diverse aziende di lusso, la negligenza da parte delle aziende in fatto a volte si estende anche a casi estremamente gravi. Pur di non interrompere la produzione, dice Beutler a BoF, i brand sono disposti a chiudere un occhio anche di fronte a lavoro minorile o lavoro forzato.
@sustainablefashionfriend Christian Dior’s Italian subsidiary has been accused of exploiting workers through collaboration with Chinese-owned companies. A Milanese court placed Dior under judicial administration for one year due to failure to verify contractors' working conditions, with similar actions taken against Giorgio Armani Operations and Alviero Martini. LVMH, Dior's parent company, did not comment on the court’s decision, which led to a 4.5% drop in LVMH shares. The investigation, beginning in March, targeted four factories employing 32 workers, some undocumented. Workers were paid below minimum wage and endured poor conditions, including being forced to sleep in factories, evidenced by continuous electricity usage. Dior's suppliers charged as little as €53 per handbag, highlighting "backdoor globalism" and labor standards issues. This case spotlights the ethical challenges of the "Made in Italy" label and the broader luxury fashion industry. Sources: BOF, Sourcing Journal, Human Rights Benchmark, Know the Source, The Japanese Times, Forbes #FashionIndustry #EthicalFashion #LaborRights #LVMH #ChristianDior #SupplyChain #MadeInItaly #luxuryfashion #sustainablefashion #fashiontok original sound - Sustainable Fashion Friend
Un altro fattore che entra in gioco quando si parla di moda di lusso italiana è l'importanza che il mondo dà all'etichetta Made in Italy e all'artigianato italiano. In conversazione con un pellettiere che ha rinunciato alle produzioni rapide e a basso costo, BoF osserva come il boom della moda di lusso avvenuto dal 2014 a pochi mesi fa abbia ingigantito il problema. Con l'aumento della domanda per articoli di alta gamma prodotti artigianalmente in Italia è cresciuto il fatturato delle aziende (e con lui l'avidità), portando i dirigenti a scegliere di incrementare la produzione a costo di diminuire il pregio dei prodotti. «Non si può avere il lusso se si mette fretta agli artigiani per realizzare il prodotto nel modo più veloce e al minor costo», ha affermato a BoF l'esperto pellettiere Klajdi Koci.
Malgrado i brand continuino a smentire i ritrovamenti del Tribunale di Milano - Dior afferma che le accuse sulle produzioni a basso costo delle borse sono «palesemente imprecise e false» - l'inchiesta di BoF non solo mette in evidenza le falle nel sistema messo in piedi dai giganti del lusso per garantire produzioni continue e massicce: attraverso il parere di artigiani, dirigenti e altri esperti di settore, dimostra che la crescita del mercato del lusso italiano che è avvenuta negli ultimi anni ha finito per danneggiare il valore intrinseco dei prodotti, da sempre considerati un vanto per il loro impareggiabile livello di qualità e artigianato. Qualità e quantità non sono mai andati di pari passo, come dimostrano i brand di fast fashion, perciò anche il Made in Italy, se tiene veramente alla propria reputazione, dovrà rivedere le proprie priorità.