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Che fine ha fatto New York?

Il futuro incerto della moda americana alla NYFW

Che fine ha fatto New York?  Il futuro incerto della moda americana alla NYFW
Tommy Hilfiger SS25
Ralph Lauren SS25
Coach SS25
Luar SS25
Sandy Liang SS25
Area SS25
Proenza Schouler SS25
Collina Strada SS25

A due mesi dalle elezioni presidenziali statunitensi, il fermento sociale che in queste settimane sta coinvolgendo il Paese ha spinto anche la fashion industry a dare voce alle proprie preoccupazioni: il 9 settembre, un gruppo di modelle (tra cui le top Irina Shayk e Amber Valletta) hanno abbandonato le passerelle per consegnare cento lettere alla governatrice della città, Kathy Hochul, in cui viene richiesta l’approvazione del Fashion Workers Act. Il patto garantirebbe maggiori protezioni ai lavoratori del settore (specialmente i liberi professionisti, come le modelle e i designer indipendenti) tra cui leggi per impedire lo sfruttamento. Il disegno è passato sotto il giudizio degli organi legislativi della città ma ha ancora bisogno della firma della governatrice per entrare in vigore. Prima ancora che le modelle scendessero in strada con lettera alla mano, Vogue, il Council of Fashion Designers of America e la no-profit I Am a Voter hanno marciato a Manhattan per incitare i cittadini statunitensi al voto alle prossime elezioni presidenziali. Intanto Area, brand innovativo in calendario alla NYFW, ha lanciato una collaborazione con Tinder incentrata sul diritto all’aborto, affiancata da una donazione di 25mila dollari all’associazione Planned Parenthood. Gli eventi sociopolitici che si sono alternati in questi giorni nella Grande Mela ricordano il 2016, quando l’elezione di Donald Trump e le sue famose uscite maschiliste, misogine e razziste avevano spinto la moda a protestare contro la sua presidenza, con la differenza che quest’anno la posta in gioco è molto più alta, per il Paese così come per il futuro della moda americana.

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Tommy Hilfiger SS25
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Uno dei motivi principali per cui la New York Fashion Week sta perdendo appeal riguarda le trasformazioni che i brand americani hanno avviato negli ultimi vent’anni. Adottando business model di grande distribuzione, giganti come Tommy Hilfiger, Ralph Lauren e Michael Kors hanno aumentato le vendite ma anche cambiato la percezione pubblica della loro firma, una mossa che li ha allontanati dal mondo del lusso estremo perseguito dai colleghi europei. Mentre Michael Kors è praticamente sparito dal radar del grande pubblico, soppiantato da brand più freschi come Coach (che tra l’altro è stato convocato da Kors in tribunale proprio in questi giorni con l’accusa di concorrenzialità), Ralph Lauren adesso si sta reinventando al di fuori del calendario della NYFW con uno show agli Hamptons e Tommy Hilfiger sta puntando tutto sulla nostalgia, con show pop e ad alto profilo mediatico democraticamente apprezzabili ma privi di quel focus autoriale che molti si attendono da una sfilata in Fashion Week. Nonostante questo, Hilfiger e Coach sembrano essere gli unici brand capaci di capitalizzare sul fascino americano. Nel loro caso, lo stratagemma marketing “I <3 New York” riesce a convincere i consumatori per due ragioni ben valide: l’heritage e i soldi. Due cose che, come è possibile immaginare, un brand indipendente fa invece fatica ad acquisire. Come afferma il giornalista Eugene Rabkin, fondatore di Style Zeitgeist, a Cultured, «È difficile vedere New York come una capitale della moda, anche se è certamente la capitale del consumismo di moda».

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Proenza Schouler SS25

Per quanto riguarda la creatività e i giovani talenti, che a New York non sono mai mancati, persiste un problema che non riguarda solo la City, bensì tutte le capitali della moda più importanti al mondo: la mancanza di supporto nei confronti delle aziende piccole e indipendenti. Se da un lato l’unica città che si distanzia un po’ dal trend continua a essere Londra, che grazie a iniziative come il talent incubator Fashion East è riuscita a costruire una rete d’appoggio forte per i nuovi volti della moda inglese, a New York i brand giovani barcollano. A conferma della tesi, quest’anno Puppets and Puppets si è trasferito nel Regno Unito, mentre Dion Lee e Mara Hoffman hanno dovuto chiudere il business. A questo punto, la centralità di New York nella geografia politica della moda viene inevitabilmente messa in discussione: se i grandi marchi non hanno più la stessa influenza di prima nella fashion industry, i brand indipendenti non hanno le risorse economiche per partecipare all’evento e maison di lusso come Ralph Lauren e The Row scelgono di presentare fuori calendario o addirittura in un’altra città, qual è il vero scopo della NYFW? Durante la marcia delle modelle a Manhattan per l’approvazione del Fashion Workers Act, la completa carenza di supporto da parte dei brand e degli organi governativi ha dimostrato quanto la città delle grandi opportunità sia in fondo un palcoscenico destinato a pochi fortunati: quelli che l’opportunità l’hanno già avuta.